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OLD MASTER and 19TH CENTURY PAINTINGS

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Lotto 8 - FRANCESCO GRAZIANI - (attivo a Roma nella seconda metà del XVII secolo) Battaglia tra cavallerie europee Olio su tela, cm 40X73 Provenienza: Collezione privata Sulla scorta di antichi inventari, Roethlisberger-Bianco ci informa della probabile nascita dell'artista a Capua, mentre nel 1808 Luigi Lanzi cita un 'Graziani' quale allievo a Roma del celebre battaglista Jacques Courtois, detto il Borgognone (Saint-Hyppolite, 16211 ; Roma, 1676), suggerendo di conseguenza un precoce arrivo nella Città Eterna (Cfr. L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1809), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 385). Infatti, secondo il Buchowiecki (Cfr. Buchowiecki, Handbuch der Kirchen Roms, I, Wien 1967, pp. 415, 647), Graziani nel 1671 realizzò una serie di tele per la navata centrale e il coro della basilica dei Santi Apostoli raffiguranti Storie del Vecchio e del Nuovo Testamento (perdute), ma certa è la sua affermazione professionale negli anni Ottanta, quando nel 1686 Filippo Titi ricorda la tela con la Predica del Battista realizzata nel 1683 per la cappella Cimini in Sant'Antonio dei Portoghesi e una Maddalena Penitente conservata nella chiesa di Santa Croce della Penitenza alla Lungara, oggi identificata nella Crocifissione con Maria Maddalena della parrocchiale di Ardea, in cui, a dire il vero, si avvertono sensibilità meridionali e un sapore tenebroso che evoca modi di Stanzione e Mattia Preti. Detto ciò, negli anni seguenti l'artista dovette dedicarsi prettamente al genere della battaglia come attestano gli inventari della collezione Barberini e in particolare le opere delle raccolte Spada e Pallavicini, che consentirono a Federico Zeri una prima analisi dell'autore. Tornando alla tela qui presentata se ne evidenzia l'alta qualità, la medesima che riscontriamo nel prezioso olio su rame della Walters Art Gallery di Baltimora (Cfr. F. Zeri, Italian Paintings in the Walters Art Gallery, 1976, p. 472 n. 352) e, soprattutto, nella Scena di Battaglia appartenente alla Galleria Spada, quanto mai simile per la costruzione scenica, la qualità d'esecuzione e un analogo sentimento cromatico gestito a punta di pennello che precede negli esiti il fare maturo di Francesco Simonini del periodo veneziano (fig. 1; cfr. F. Zeri, La Galleria Spada in Roma. Catalogo dei dipinti, Firenze 1954, p. 145 n. 245). Bibliografia di riferimento: F. Zeri, La Galleria Pallavicini in Roma, Firenze 1959, p. 145 W. Buchowiecki, Handbuch der Kirchen Roms, I, Wien 1967, pp. 415, 647 L. Salerno, I pittori di paesaggio del Seicento a Roma, Roma 1977-1978, vol. II, pp. 644-654 F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura nelle chiese di Roma (1674-1763), a cura di B. Contardi, S. Romano, Firenze 1987, I, pp. 21, 209; II, pp. 57, 386 G. Sestieri, I Pittori di Battaglie, Roma 1999, pp. 360-371

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 9 - FRANCESCO LAVAGNA - (Napoli, 1684 - 1724) Nature morte di fiori in un giardino Olio su tela, cm 23X34,7 (2) Provenienza: Collezione privata Francesco Lavagna è uno dei protagonisti della natura morta napoletana di inizio Settecento e la sua formazione, in analogia con Gaspare Lopez, avviene presso l'atelier di Andrea Belvedere. Le opere qui presentate documentano assai bene le qualità espressive del pittore, capace di realizzare con vivacità e sprezzatura una sequenza di composizioni somiglianti senza cadere nella banalità della replica illustrativa, mostrando una sensibilità cromatica di notevole impatto visivo. Il concetto di ideare un ciclo così sviluppato, giocato su una concatenazione di vasi fioriti e accomunato da una medesima incorniciatura, fa immediatamente immaginare un progetto d'insieme che l'artista ha concepito vagliando gli spazi a cui era destinato. Detto ciò, appare stupefacente la scarsità di notizie biografiche sull'artista. La motivazione può essere spiegata leggendo i passi del De Dominici che dedicò maggiori attenzioni al maestro Belvedere, salvo chiosare con acume critico il talento del discepolo, indicando che: 'ingrandì un po' soverchio i suoi fiori e gli dipinse con più libertà'. Questa citazione può in parte trovare corrispondenza con le opere a noi note, perché tale è l'emancipazione del dipingere che è possibile compararne gli esiti con autori tardo settecenteschi come il Guardi e la produzione pseudo-guardesca. Il salto cronologico qui pronunciato è in primo luogo una conferma dell'istintiva modernità di queste tele, costruite con tremendo impasto, velature e spessori, ma specialmente, con la luce: una luminosità che si irradia senza ostacoli e cedimenti, bagnando i colori. Tornando al De Dominici e alla relativa sfortuna storiografica del nostro, dopo la maggiore visibilità offerta al maestro Belvedere, il critico partenopeo incorre probabilmente in un errore parlando di Giuseppe Lavagna e non di Francesco. La critica odierna dà credito all'esistenza di questa seconda personalità, quasi certamente legata con vincolo di parentela, ciò nonostante, le opere, di cui alcune firmate 'Fran.c Lavagna P.' rispondono morellianamente all'unisono e sono le uniche che si conoscano e ci consentono di definirne lo stile. Bibliografia di riferimento: B. De Dominici, Vite de pittori, scultori ed architetti napoletani, Napoli 1742-1745 (ristampa anastatica del 1979), p. 575 R. Causa, La natura morta a Napoli nei Sei e nel Settecento, in Storia di Napoli, Cava de Tirreni 1972, V, tomo 2, p. 1025, n. 118 L. Salerno, La natura morta italiana 1560-1805, Roma 1984, p. 239, fig. 59.1 A. Tecce, La natura morta in Italia, Milano 1989, II, pag. 946, fig. 1149 L. Salerno, Nuovi studi sulla natura morta, Roma 1989, p. 119, fig. 113

Stima 1 500 - 2 500 EUR

Lotto 11 - MICHELANGELO MAESTRI - (attivo a Roma nel XVIII secolo - 1812) Il Banchetto degli Dei Tempera su carta controfondata, cm 34X73 Michelangelo Maestri fu un artista notevolmente apprezzato durante l'età neoclassica, specialmente da chi affrontava il Grand Tour. La sua produzione evoca quasi esclusivamente le pitture dell'antichità classica che, all'epoca, si scoprivano scavando le città di Ercolano e Pompei, ma si dedicò anche a dipingere eleganti evocazioni degli affreschi di Raffaello e Giulio Romano. La sua caratteristica principale è quella di giungere ad una astrazione, a una metafisica dell'immaginario classico e rinascimentale, in modo particolare quando dipinge su superficie a sfondo nero, dove le figure spiccano con raffinata eleganza e leggerezza. In questo caso, invece, Maestri si misura con l'affresco di Raffaello (1483-1520) raffigurante Il Banchetto degli Dei, realizzato nel 1517 sul soffitto della Loggia di Psiche sita nella Villa Farnesina a Roma e commissionato dal banchiere e tesoriere di papa Giulio II Agostino Chigi. Osservando l'opera possiamo cogliere la qualità disegnativa e la sapienza delle stesure che documentano non solo il talento dell'autore, ma altresì la preziosità di questi 'Souvenir d'Italie' sulla spinta di interessi letterari, archeologici e artistici dei viaggiatori dell'epoca. Bibliografia di riferimento: A. Talenti, Michelangelo Maestri. Il soffio della memoria. Guazzi e tempere, Borgomaggiore 2011, ad vocem

Stima 800 - 1 200 EUR

Lotto 15 - IPPOLITO SCARSELLA detto LO SCARSELLINO - (Ferrara, 1550 - 1620) Adorazione dei pastori Olio su tela applicata in antico su tavola, cm 32,5X23 Provenienza: Roma, collezione privata Ricondotto al catalogo di Ippolito Scarsella da Valentina Lapierre, l'artista fu uno dei protagonisti più importanti dell'arte emiliana cinque-seicentesca e la critica più avveduta (Mahon e Longhi) vide in lui il riferimento del giovane Guercino e dei Caracci. Altresì importante per la fortuna collezionistica del maestro, specialmente nel mondo anglosassone, furono gli studi di Berenson, mentre in Italia anche l'imponente Officina Ferrarese longhiana non riuscì a divulgarne pienamente il nome sino a tempi recenti. La tela in esame rivela interessanti aspetti qualitativi, in primo luogo osservando i pigmenti e la stesura dei panneggi, così come il disegno e l'impostazione scenica che attestano un omaggio all'arte veneta. L'interesse precoce per la pittura lagunare da parte del pittore fu certamente dettato dal padre Ludovico che, soprannominato il Paolo de' Ferraresi, secondo il Baruffaldi e Giulio Mancini soggiornò tre anni a Venezia frequentando la bottega del Veronese e studiando Tiziano, Tintoretto e i Bassano. A documentare questa precoce predilezione di gusto da parte di Ippolito è la celebre Cena in casa di Simone custodita alla Galleria Borghese di Roma che, documentata sin dal Settecento sotto il nome del Caliari, si rivela una eccellente esecuzione databile all'ultimo decennio del secolo. La tela in esame esibisce in particolare spunti di confronto con i Misteri del Rosario custodita nella chiesa della Natività di Maria Vergine a Bondeno che, databili al 1592, offrono un adeguato riferimento cronologico. Si ringrazia Valentina Lapierre per l'attribuzione. Bibliografia di riferimento: G. Baruffaldi, Vite de' pittori e scultori ferraresi (1697-1730), I, Ferrara 1844, p. 193, II, 1846, pp. 65-107 V. Lapierre, Nel segno del leone, in V. Lapierre ; M. A. Novelli, La storia di Negro Sole Re del lito moro. Un esempio ritrovato della narrazione pittorica dello Scarsellino, Ferrara 2004, pp. 9-53 M. A. Novelli, Scarsellino, Milano 2008, ad vocem V. Lapierre, Scarsellino copista tra devozione e collezionismo, in Immagine e persuasione. Capolavori del Seicento dalle chiese di Ferrara, catalogo della mostra a cura di G. Sassu, Ferrara 2013, pp. 41-47

Stima 3 000 - 5 000 EUR

Lotto 16 - FRANCESCO UNTERPERGER - (Cavalese, 1706 - 1766) Madonna orante Olio su tela ovale applicata su tavola, cm 29,7X24 Provenienza: Collezione privata Bibliografia: E. Mich, Nuove opere di Francesco Unterperger, di prossima pubblicazione in Studi trentini. Arte Allievo del fratello maggiore Michelangelo (Cavalese, 1695 ; Vienna, 1758), Francesco appartiene a una famiglia di artisti originari della Val Pusteria attivi durante il XVIII secolo in Trentino Alto Adige e in Austria. Il pittore conseguì una propria autonomia nel corso del terzo decennio quando realizzerà le tele dedicate alla vita di Santa Chiara per il convento delle Clarisse di Bressanone, la pala di Sant'Antonio abate per la parrocchiale di Cavalese nel 1734, e le tele con San Giovanni Nepomuceno e San Giorgio per la parrocchiale di Vipiteno (1736). Tuttavia, nel 1740 si trasferì a Venezia frequentando la bottega di Giovanni Battista Pittoni fino al 1745 e, in questi anni, le sue opere manifestano l'influenza del celebre maestro e le suggestioni di Sebastiano Ricci, esprimendo una maggior vivacità cromatica e stesure con impasti più densi. Agli anni di poco successivi si colloca, quindi, l'esecuzione della tela qui presentata, che Elvio Mich pone intorno al 1750 grazie al confronto con la Madonnina conservata nella chiesa dei Francescani di Caldaro/Kaltern (fig. 1) che, come attesta la cronaca del convento pubblicata da Nicolò Rasmo, fu donata dall'artista nel 1752 (Cfr. Rasmo, 1977, p. 223, tav. X). L'opera, pur contenuta nelle dimensioni, mostra una sorprendente forza qualitativa in cui la tradizione culturale dell'autore si coniuga meravigliosamente agli stilemi veneziani dell'epoca con raffinati esiti rocaille. L'opera è corredata da una scheda critica di Elvio Mich. Bibliografia di riferimento: E. Mich, Francesco Unterperger sacro e profano, in Nuovi Studi, IX-X, 2004-2005, n. 11, pp. 269-275 E. Mich, scheda Francesco Unterperger, in Doni preziosi immagini ed oggetti dalle collezioni museali, catalogo della mostra a cura di L. Dal Prà, F. de Gramatica, Trento 2014

Stima 1 500 - 2 500 EUR

Lotto 17 - FELICE CIGNANI - (Bologna, 1658 - Forlì, 1724) Madonna con il Bambino Olio su tela, cm 43,6X34,5 Provenienza: Roma, collezione privata Riconosciuto alla mano di Felice Cignani da Massimo Pulini, l'opera si rivela un'aggiunta significativa al suo catalogo. L'artista, come sappiamo, si formò nella bottega del padre Carlo (Bologna, 1628 ; Forlì, 1719) e lo stile ne riflette al meglio gli insegnamenti. Il volto della Vergine dai capelli raccolti da uno scialle, la tonalità rosata della veste e la serica tenda screziata, appartengono al lessico paterno degli anni forlivesi ma, in questo caso, avvertiamo un più intenso classicismo in analogia con le creazioni di Marcantonio Franceschini (Bologna, 1648 ; 1729) e anche echi del Sassoferrato (Sassoferrato, 1609 ; Roma, 1685), che denotano un fare più personale e di conseguenza una datazione matura. Sono gli anni in cui Felice giunge a esiti di elegante purismo riuscendo a non attutire la vitalità emotiva delle figure. Nel nostro caso, basti osservare la tenerezza espressiva di Maria e lo sguardo a lei rivolto dal piccolo Gesù per cogliere come l'apparente formalismo imposto dal decoro si sciolga in una immagine carica di umanità. Per questo motivo l'autore non lo si può giudicare quale semplice emulo, ma un maestro a tutti gli effetti che, pur attenendosi alle responsabilità imposte dalla bottega, mostra una piena e consapevole indipendenza espressiva. Si ringrazia Massimo Pulini per l'attribuzione. Bibliografia di riferimento: R. Roli, Pittura Bolognese 1650-1800, dal Cignani ai Gandolfi, Bologna 1977, p. 98; 243, figg. 112a-113c G. Milantoni, Cignani, Felice, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 25, Roma 1981, pp. 486-488 R. Roli, Cignani, Felice, in La pittura in Italia. Il Settecento, a cura di G. Briganti, vol. II, Milano 1990, p. 667. G. Viroli, Pittura del Seicento e del Settecento a Forlì, Bologna 1996, pp. 96-72, nn. 65; 72

Stima 1 500 - 2 500 EUR

Lotto 19 - ARTUS WOLFFORT - (Anversa, 1581 - 1641) San Girolamo Olio su tavola, cm 63,5X48,2 Provenienza: Collezione privata Artus Wolffort fu un pittore di composizioni religiose e quadri di genere e ricoprì un ruolo di rilievo durante l'età di Rubens e Van Dyck. I soggetti a lui congeniali erano ispirati dalle sacre scritture, del Nuovo e Vecchio Testamento, che offrivano l'opportunità di comporre grandi scenari narrativi che riscuotevano un successo notevole. Il suo stile inizialmente si assimila a quello di Otto Van Veen, con cui collabora attorno al 1615, mentre tra il terzo e quarto decennio si fa sempre più evidente l'influenza di Pietro Paolo Rubens, interpretato talvolta con piglio realistico, dettato dal caravaggismo nordico, come si evince osservando i Quattro evangelisti del museo di Belle Arti di Bordeaux e in modo particolare il San Girolamo già Sotheby's Londra del 4 luglio 2006, lotto 326 (Fig. 1-Cfr. https://rkd.nl/imageslite/719720), il San Girolamo già Dorotheum del 22 marzo 2001, lotto 162 (Cfr. https://rkd.nl/imageslite/719745) e quello quanto mai simile ma eseguito su tela della Galleria Lowet De Wotrenge di Anversa. Bibliografia di riferimento: H. Vlieghe, Zwischen van Veen und Rubens: Artus Wolffort (1581-1641), ein vergessener Antwerpener Maler, Wallraf-Richartz jahrbuvh 39 (1977), pp. 93-136 H. Vlieghe, Nog wat over Wolffort, zijn atelier en Van Lint, in Feestbundel Kolveniershof en Rubenianum, Anversa 1981, pp. 83-87

Stima 1 000 - 2 000 EUR

Lotto 21 - MARCO PALMEZZANO - (Forlì, 1459 - 1539) San Girolamo Firmato sul cartiglio in basso a destra 'Marchus Palmezanus/pictor forlivensis/faciebat/MCCCCCXXXIII' Olio su tavola, cm 67X49 Provenienza: Roma, mercato antiquario, XIX sec. Collezione marchese Raniero Paulucci (1895) Collezione privata Bibliografia: E. Calzini, Marco Palmezzano e le sue opere, in Archivio Storico dell'Arte, VII, 1894, p. 68. C. Grigioni, Marco Palmezzano pittore forlivese nella vita, nelle opere, nell'arte, Faenza 1956, p. 538, CXCI; p. 546, n. 64 Il dipinto è una importante testimonianza dell'attività matura di Marco Palmezzano, quando l'artista si dedica in modo particolare a dipingere immagini destinate alla devozione privata, impiegando iconografie collaudate che riscuotevano particolare interesse da parte della committenza. Ma se nelle opere di grande formato si avverte l'intervento preponderante della bottega e conseguenti incoerenze qualitative, i quadri da 'stanza' si caratterizzano per una meticolosa solidità tecnica. Questo dato si evince in particolare analizzando la tavola raffigurante l'Annunciazione realizzata anch'essa nel 1633 e destinata a Serviti di Forlimpopoli, in cui si palesa un maldestro uso di cartoni e l'uso di pigmenti meno preziosi, che denotano una conduzione poco sorvegliata da parte del maestro. Tornando all'opera qui presentata, essa trova analogie con quella conservata al Museo di Palazzo Barberini che, verosimilmente datata al 1503, si pone quale modello per le successive redazioni (fig. 1, olio su tavola, cm 84X64; cfr. L. Mochi Onori, R. Vodret, Galleria Nazionale d'Arte Antica. Palazzo Barberini, i dipinti. Catalogo sistematico, 2008, p. 300; S. Tumidei, Studi sulla pittura in Emilia e in Romagna. Da Melozzo a Federico Zuccari, 1987-2008, 2011, p. 167), tra le quali ricordiamo quella già Stroganoff del 1537 -1538 oggi appartenente alla Galleria Cini a Venezia (Fig. 2, olio su tela, cm 60X62; cfr. La Galleria di Palazzo Cini. Dipinti, sculture, oggetti d'arte, a cura di A. Bacchi, A. De Marchi, Venezia 2016, p. 415). Bibliografia di riferimento: Marco Palmezzano, il Rinascimento nelle Romagne, catalogo della mostra a cura di A. Paulucci, L. Prati, S. Tumidei, Milano 2005, ad vocem

Stima 4 000 - 7 000 EUR

Lotto 22 - FRANCESCO LORENZI - (Mazzurega Fumane, 1723 - Verona, 1787) Bozzetto per la pala raffigurante l'estasi di san Francesco Olio su carta applicata su tavola, cm 46,5X24,7 Provenienza: Monaco di Baviera, W. Muller (1938, come Giovanni Antonio Guardi) Collezione privata Bibliografia: A. Tomezzoli, Al di là dei confini, a nord di Verona. Dipinti e pittori veronesi nel Trentino del Settecento, in I Colori della Serenissima. Pittura veneta del Settecento in Trentino, catalogo della mostra a cura di A. Tomezzoli e D. Ton, Trento 2022, pp. 55-83; pp. 67-69, fig. 16 (su segnalazione di Elvio Mich) È la metà del Settimo decennio quando Lorenzi realizza la pala raffigurante San Francesco in Estasi destinata alla chiesa di San Martino di Pilcante (fig. 1), avendo a modello la simile composizione concepita da Giambattista Piazzetta nel 1729 per la chiesa vicentina di Santa Maria in Araceli, oggi custodita nella Pinacoteca Civica. Quest'opera, considerata emblematica e fra le più ispirate della pittura veneziana (Cfr. A. Mariuz, in Pinacoteca Civica di Vicenza. Dipinti del XVII e XVIII Secolo, a cura di M. E. Avagnina, M. Binotto, G. C. F. Villa, Milano 2004, pp. 393-395, n. 363), dimostra la sua vitalità illustrativa in virtù del pittore veronese che ne ravviva la memoria in chiave tiepolesca. Con Lorenzi si smorzano gli eccessi drammatici e i contrasti dell'ombra, ma se l'opera finita può risultare algida e porcellanata, ben altro tenore ha il bozzetto qui presentato, in cui la luce smuove il colore e l'enfasi miracolosa. Allievo e collaboratore di Giambattista Tiepolo dal 1744 fino alla metà del sesto decennio, il pittore nel corso della sua carriera esprime un registro linguistico influenzato dal maestro. Ma se nelle opere precoci ne è debitore dal punto di vista inventivo, durante la maturità lo vediamo ampliare la sua attenzione rielaborando altri modelli e suggestioni con l'intento di riassumere una tradizione piegandola in una chiave meditatamente neoclassica. Nondimeno, quando concepisce pittoricamente la 'prima idea', esprime al meglio una sprezzatura squisitamente rocaille e una vivace interpretazione della luminosità dell'arte lagunare. Bibliografia di riferimento: A. Tomezzoli, Francesco Lorenzi (1723 ; 1787), catalogo dell'opera pittorica, in Saggi e Memorie di Storia dell'arte, 24, 2000, p. 247, n. 647/D A. Tomezzoli, Precisazioni sul Catalogo di Francesco Lorenzi, in Francesco Lorenzi un allievo di Tiepolo tra Vicenza, Verona e Casale Monferrato, Atti della giornata di studi a cura di I. Chignola, E. M. Guzzo, A. Tomezzoli, Verona 2002 E. M. Guzzo, Francesco Lorenzi (1723 ; 1787), dipinti e incisioni, catalogo della mostra, Verona 2002, ad vocem

Stima 3 000 - 5 000 EUR

Lotto 29 - PITTORE BOLOGNESE DEL XVI-XVII SECOLO - Ritratto di Petrus Gonsalvus (Tenerife, 1537 - Capodimonte, 1618) Olio su rame, cm 20,5X16 Provenienza: Collezione privata Il dipinto è uno dei rari ritratti di Pedro Gonsalvus che, originario di Tenerife, all'età di dieci anni fu fatto prigioniero dagli spagnoli e mentre veniva condotto da Carlo V, fu catturato da corsari francesi e inviato alla corte di Francia quale stravagante regalo per il re Enrico II e la moglie Caterina de Medici. L'uomo, di origini nobiliari in quanto erede di una famiglia reale Guaci, era affetto da ipertricosi e il naturalista italiano Ulisse Aldrovandi lo definì 'l'uomo dei boschi', alla corte francese era chiamato 'il gentiluomo selvaggio di Tenerife'. Detto ciò, Gonsalvus ricevette una educazione cortese, tanto da potersi permettere l'appellativo di 'don', fermo restando che la sua prerogativa era di impersonare una curiosità naturalistica. Nondimeno, il giovane divenne una delle personalità più colte dell'entourage di Enrico II e all'età di trentasei anni, per capriccio della regina, gli fu data in moglie la più bella delle sue dame di compagnia, Catherine, con la quale ebbe sei figli e diede origine alla narrazione della 'bella e la bestia'. Tra il 1580 e il 1590 Petrus Gonsalvus si recò con la famiglia in Italia, dove soggiornò alla corte di Margherita di Parma. Si stabilì in seguito a Capodimonte, nella Rocca Farnese sul lago di Bolsena in provincia di Viterbo, dove morì nel 1618. Tornando al dipinto, come sappiamo sono pochi quelli raffiguranti Pedro Gonsalvus e quelli noti sono conservati nel castello di Ambras presso Innsbruck nella cosiddetta 'Camera dell'Arte e delle curiosità'. Celebre è invece il ritratto della figlia Antonietta realizzato da Lavinia Fontana in due redazioni anch'essa affetta da ipertricosi. Bibliografia di riferimento: R. Zapperi, El salvaje gentilhombre de Tenerife: la singular historia de Pedro Gonzáles y su familia, Zeck 2006, ad vocem

Stima 1 000 - 2 000 EUR

Lotto 31 - GIUSEPPE NICOLA NASINI - (Castel del Piano, 1657 - Siena, 1736) Presentazione della Vergine al tempio Olio su tela ovale, cm 148X110 Provenienza: Collezione privata Formatosi nella bottega familiare, Nasini si trasferì a Roma divenendo allievo di Ciro Ferri che, già celebre collaboratore di Pietro da Cortona, era uno degli artisti più importanti della sua epoca e grazie a lui, Giuseppe Nicola acquisì le prime commissioni da parte della famiglia Chigi, dipingendo nel 1679 e nel 1680 tredici piccoli ritratti su rame dei figli di Agostino (Ariccia, Palazzo Chigi) e copie da Jacob Ferdinand Voet e di Alessandro Mattia da Farnese. Nel 1681, il pittore dipinse per i Medici la Morte di San Pietro d'Alcantara per la chiesa della villa medicea dell'Ambrogina nei pressi di Montelupo Fiorentino (ora conservata nella chiesa dei SS. Quirico e Lucia) e un Ritratto di Cosimo III, oggi disperso, per il ministro dei Medici a Roma, Giovanni Battista Mancini, opere che gli valsero l'ammissione all'Accademia toscana del disegno a Roma. Successivamente, Nasini si trasferì a Venezia per tre anni, durante i quali visitò le principali città del veneto e dell'Emilia, prima di raggiungere Firenze per essere nominato dal Granduca aiutante di camera e soprintendente degli opifici delle gallerie medicee. Come possiamo notare, l'artista conquistò in pochi anni una posizione di rilievo nell'ambito della pittura tardobarocca e ancora durante i primi decenni del Settecento le biografie concordano nel lodare le numerose commissioni portate a termine che gli valsero anche il titolo di cavaliere (Cfr. G. Nasini, Della vita e delle opere del Cav. Giuseppe Nasini, pp. 52-56). Tornando alla tela in esame, Ciampolini ne colloca l'esecuzione ai primi anni Novanta, in concomitanza con le quattro grandi tele raffiguranti i 'Nuovissimi' (ossia quello che attende l'uomo al termine della vita terrena: Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso) per l'omonima sala in Palazzo Pitti commissionati da Cosimo III, in cui le figure trovano una perfetta analogia, altresì confrontabili con quelle degli affreschi di Ercole al Bivio e la Caduta dei giganti dipinti nel 1691 sui soffitti di Palazzo Medici Riccardi a Firenze. L'opera è corredata da una scheda critica di Marco Ciampolini. Bibliografia di riferimento: M. Ciampolini, Pittori Senesi del Seicento, Siena 2010, pp. 479, 498; 499, fig. a p. 498

Stima 4 000 - 7 000 EUR

Lotto 32 - JULES-CÉSAR DENIS VAN LOO - (Parigi, 1743 - 1821) Paesaggio con architettura classica Olio su tela, cm 135X180 Provenienza: Milano, collezione privata Bibliografia: A. Bellin, D. Succi, E. Trivoli, Dipinti Inediti dal Trecento all'Ottocento, Treviso 2015, p. 86 César Van Loo è l'ultimo esponente di un'illustre dinastia di artisti, il cui capostipite fu l'olandese Jacob Van Loo (1684-1745) che, originario della provincia olandese della Zelanda, si stabilì in Francia nel 1660. César nacque a Parigi nel 1743 dal nipote di Jacob, il pittore Carle Van Loo (1705-1765), pittore alla corte di Luigi XV e direttore dell'Académie royale de peinture et de sculpture, ma si deve altresì ricordare che era altresì nipote di Jean Baptiste Van Loo (1707-1771) e cugino di Louis Michel (1707-1771), François (1708-1732) e Charles Amédée Philippe Van Loo (1719-1795). César, quindi, si formò nella produttiva e celebre bottega di famiglia, fece un viaggio di studio in Italia e nel 1784 fu eletto membro dell'Accademia Reale presentando due quadri alla maniera di Joseph Vernet (1714-1789), negli anni successivi espose regolarmente le sue opere ai Salons parigini conseguendo nel 1789 la carica di ausiliare del rettore dell'Académie. Nel 1791 lo sappiamo nuovamente in Italia, a Roma, e successivamente attivo per la corte sabauda a Torino, città in cui già lavorarono suo padre e suo zio Jean Baptiste. Tornando alla tela in esame, la sua data d'esecuzione si può collocare in questi anni, in cui l'autore esprime un'estetica paesistica di tenore classicista sull'esempio di Pannini e del connazionale Jean Baptiste Lallemand (Digione, 1716 ; Parigi, 1803).

Stima 4 000 - 7 000 EUR

Lotto 34 - GIOVANNI DOMENICO VALENTINI - (Roma, circa 1630 - Imola, circa 1708) Scena di cucina Olio su tela, cm 72,5X99 Gian Domenico Valentini era originario di Roma, ma lavorò prevalentemente in Emilia e in Romagna, per la precisione a Imola e Ravenna, tanto da esser definito dalla critica un 'maestro emiliano influenzato dai modi di Cristoforo Munari' (Ghidiglia-Quintavalle, 1964; Chiarini, 1974). Dipinse principalmente interni di cucina elaborando complesse composizioni di natura morta raffiguranti utensili in rame, terrecotte, verdure e selvaggina. In lui si colgono le influenze della pittura olandese e una conseguente passione per creare spazi scenici tenebrosi, dove si muovono indaffarate figure femminili che svolgono umili attività domestiche. Anche nella nostra tela il soggetto non si discosta dalla consuetudine e presenta stilemi tipici dell'artista, in modo particolare osservando i brani di natura morta tratteggiati con intenso realismo. In effetti l'idea del Valentini quale interprete di un caravaggismo a passo ridotto, sia pur seducente, non aiuta a cogliere la sua affiliazione con i Bamboccianti, evidenziando una formazione simbiotica con quegli artisti nordici che popolavano la Città Eterna. Bibliografia di riferimento: F. Porzio, F. Zeri, La natura morta in Italia, Milano 1989, vol. II, p. 474, nn. 565-568 G. Bocchi, U. Bocchi, Giovanni Domenico Valentini, in Pittori di natura morta a Roma, artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, pp. 507-523

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 35 - ANTONIO TIBALDI - (Roma, 1633 circa - 1684 circa) Natura morta con tessuti, vassoio con dolci e vasi in metallo sbalzato Olio su tela, cm 96X129 Provenienza: Italia, collezione privata Antonio Tibaldi fu allievo di Francesco Noletti detto Il Maltese (1611-1654), da cui derivano le sue complesse rappresentazioni iconografiche composte da eleganti tappeti, tendaggi, argenterie, strumenti musicali e molti altri oggetti preziosi. La riscoperta dell'artista è criticamente recente e si deve al ritrovamento di un dipinto iscritto 'Il Tibaldi. Romano', sul dorso di un libro e di un altro dipinto firmato 'Ant. Tibaldi' (cfr. Bocchi 2005). A partire dal nome, dal cognome e dalla professione, le indagini si sono concentrate sugli archivi parrocchiali, consentendo di rintracciarne la registrazione negli Stati delle anime del 1675 di Santa Maria del Popolo. La sua produzione esibisce l'uso di riempire lo spazio pittorico nella misura più ampia possibile, posizionando pesanti tappeti e broccati su tavoli dove sono distribuiti armature, orologi, strumenti musicali, cuscini, scatole, libri, dolci zuccherini e soventemente, come nel nostro caso, chiudeva lo spazio scenico con pesanti tessuti dai bordi dorati. Gli inventari delle antiche collezioni romane hanno permesso di conoscere i suoi potenti committenti, come i Barberini (Papa Urbano VIII) e i Chigi (Papa Alessandro VII). Bibliografia di riferimento: G. e U. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, pp. 473-490 G. Bocchi, Antonio Tibaldi detto il Conte, pittore a Roma nella seconda metà del Seicento: nuove acquisizioni e definitive conferme, in Parma per l'Arte, Nuova Serie, XXVII, 2021, pp. 199-262

Stima 4 000 - 7 000 EUR

Lotto 42 - FRANCESCO ANTONIANI - (Milano, 1700/1710 - Torino, 1775) Veduta costiera con torre e velieri Olio su tela, cm 123X100 Noto per la produzione di vedute e paesaggi, Antoniani fu il principale esponente di una dinastia attiva a Torino durante il XVIII secolo e la sua produzione fu soprattutto destinata a Casa Savoia per arredare con paesaggi, capricci architettonici e marine le residenze reali e celebri sono le sue opere realizzate per la Palazzina di Caccia di Stupinigi (fig. 1). È quindi inevitabile dover prendere atto di questa committenza per giudicare le sue opere che, come in questo caso, esibiscono una tecnica pittorica di notevole raffinatezza, caratterizzata da larghe campiture di colore condotte con vivacità di pennello e un peculiare gioco di luci e sfumature. Anche il tema raffigurato è a lui peculiare, ossia la descrizione di vedute ideali di costa mediterranea con figure, rovine architettoniche e navi alla fonda, guardando agli esempi di Joseph Vernet, Carlo Bonavia, Adrien Manglard e Lacroix de Marseille. La letteratura artistica e le fonti ricordano il nostro attivo a Stupinigi, Moncalieri e presso il Palazzo Reale, dove dipinge sovrapporte e decori, contaminandosi altresì con i precetti dell'altro importante paesista li attivo, Vittorio Amedeo Cignaroli. Bibliografia di riferimento: Vittorio Amedeo Cignaroli. Un paesaggista alla corte dei Savoia e la sua epoca, catalogo della mostra a cura di A. Cottino, Torino 2001, p. 145

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 43 - FRANCESCO FOSCHI - (Ancona, 1710 - Roma, 1780) Veduta costiera mediterranea con vascello Olio su tela, cm 154,5X190 Celebre per i suoi paesaggi innevati, Foschi si dedicò a dipingere anche vedute di fantasia sulla scia degli artisti romani che ebbe modo di conoscere dopo il 1729 quando, lasciata la bottega di Francesco Mancini a Fano, si trasferì nella Città Eterna. Tuttavia, si deve rilevare che il pittore dipinse marine rarissime volte e per di più di misure più contenute. Ricordiamo a questo proposito la tela (firmata e datata 1765 sul verso) raffigurante una Burrasca con naufragio (Cfr. Corsini 2002, p. 176, n. 56; olio su tela, cm 34,3X45) che propone in piccolo una simile composizione e la cui certa datazione offre una compatibile cronologia per l'opera qui presentata. È altresì importante notare come il Foschi rilegga in chiave settecentesca una tematica prettamente barocca e che le cosiddette 'Fortune di Mare' tornarono di moda dopo il 1750, grazie a Adrien Manglard (Lione, 1695 ; Roma, 1760) e del suo allievo Claude Joseph Vernet (Avignone, 1714 ; Parigi, 1789), fermo restando che, nel nostro caso, sono evidenti le analogie con le opere di Adrien, la cui attività romana è documentata dal 1736 quando viene accolto all'Accademia di San Luca. Si può quindi ipotizzare un rapporto tra i due artisti, valutando la presenza a Roma del francese dal 1720 e che nel 1748 sull'esempio di Pieter Mulier decorerà la Sala delle Marine sita nel secondo piano nobile di Palazzo Chigi. Bibliografia di riferimento: L. Salerno, I pittori di vedute in Italia (1580-1830), Roma 1991, pp. 284-287 M. Vinci Corsini, Francesco Foschi, Milano 2002, ad vocem

Stima 8 000 - 12 000 EUR

Lotto 45 - AURELIO LOMI - (Pisa, 1556 - 1623/1624) Flagellazione Olio su tela, cm 94X79 Artista pisano, ma di formazione fiorentina, Aurelio Lomi frequentò la bottega di Bronzino per poi trasferirsi a Roma dove ebbe la possibilità di studiare le opere di Girolamo Muziano, Federico Zuccari e Scipione Pulzone, pittori controriformati che ne influenzarono lo stile. Verosimilmente, il suo primo soggiorno nella Città Eterna cade intorno al 1575, e nel 1578 è documentata la sua iscrizione all'Accademia fiorentina, ma nel medesimo anno decorerà la cappella dell'Assunta in Santa Maria in Vallicella a Roma, impresa commissionata da Giovanni Agostino Pinelli, banchiere genovese tesoriere della Camera apostolica. Tornato a Pisa nel 1588 lo vediamo impegnato alla realizzazione delle tele del transetto settentrionale, due monumentali dipinti rappresentanti l'Adorazione dei pastori e l'Adorazione dei magi e dopo tali rilevanti commesse possiamo dire che Lomi acquisirà sempre più prestigio. Al 1597 si data il trasferimento a Genova, dove rimane fino al 1604 e svolge una frenetica attività, indice di uno status autorevole, prossimo a una sorta di leadership nel produrre opere a destinazione ecclesiastica. Ma altrettanto importanti saranno le committenze private e gli stati delle anime della Maddalena, infatti, lo dicono domiciliato nel palazzo di Origo Salvago di strada Nuova nel 1602, mentre l'anno successivo si trasferisce nel palazzo di Gerolamo Spinola. Al soggiorno ligure, o subito dopo, dovrebbe assegnarsi la tela in esame per l'analogia con le opere mature, in particolare per la vena descrittiva e un pittoricismo prossimo a quello a quello di Giovanni Battista Paggi. Si deve altresì rilevare che, viste le contenute dimensioni e il carattere da 'non finito', l'opera sia un modelletto, uno studio preparatorio per una pala. Si ringrazia Pierluigi Carofano per l'attribuzione. Bibliografia di riferimento: P. Carofano, R. P. Ciardi, M. C. Galassi, Aurelio Lomi, maniera e innovazione, Pisa 1989, ad vocem

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 46 - DOMENICO DUPRÀ - (Torino, 1689 - 1770) Ritratto di gentiluomo a mezzo busto, con giacca di seta grigia, gilet ricamato e un mantello rosso Olio su tela, cm 77X61,5 Provenienza: Collezione Bernard Combemale Londra, Christie's, 6 ottobre 1994, lotto 26 Italia, collezione privata La formazione dell'artista si svolse a Roma nella bottega di Francesco Trevisani per poi trasferirsi in Portogallo convocato dal re Giovanni V di Braganza in qualità di ritrattista di corte che, al suo congedo, lo ricompensò con ben undici chilogrammi e mezzo d'oro (Carvalho, 1958). Le opere di questi anni esprimono uno stile di gusto internazionale, romano, ma altresì attento alla moda francese. Tra il 1730 e il 1750 l'artista lo sappiamo nuovamente nella Città Eterna prima di trasferirsi alla corte sabauda, grazie all'interessamento del cardinale Alessandro Albani. A Roma Duprà fu il ritrattista delle più importanti famiglie, intratteneva stretti rapporti con l'aristocrazia cardinalizia e con i re esiliati Giacomo III Stuart e Clementina Sobieska. Tornando alla tela in esame trova evidenti analogie con il ritratto di gentiluomo firmato e datato 1741 pubblicato da Busiri Vici (fig. 19), che lo studioso confronta con i ritratti Stuard per l'impostazione e il 'vivo sguardo espressivo'. Bibliografia di Riferimento: A. de Carvalho, Domenico Duprà. royal portrait painter to various European courts, in Connoisseur Year-book, 1958, pp. 78-85 A. Busiri Vici, Ritratti a Roma di Domenico Duprà, in L'Urbe, XI, 1977, 2, pp. 1-16 S. Rudolph, La pittura del '700 a Roma, Milano 1983, fig. 248 Arte di corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice, Torino 1987, pp. 72-75 S. Ghisotti, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, p. 705

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 47 - ANTONIO DAVID - (Venezia, 1680 - 1737) Ritratto di gentiluomo, circa 1730 Olio su rame convesso, cm 58X43,5 Il dipinto è una preziosa e rara aggiunta al catalogo del pittore, per la notevole valenza estetica e conservativa. Come sappiamo, dal 1686 David svolse con straordinario successo la propria attività a Roma e la sua fama è documentata dal prestigio dei committenti. A questo proposito ricordiamo la corte papale, il cardinale Francesco Acquaviva d'Aragona, le famiglie Colonna, Corsini, Farnese, Patrizi, Sacchetti ma all'elenco bisogna altresì ricordare i grandi nomi dell'aristocrazia europea, in modo particolare gli Stuart che in esilio a Roma, nel 1717, scelsero David quale pittore ufficiale, aprendogli le porte della committenza inglese. Tornando all'opera in esame, si evince che il pittore si sia formato sugli esempi della ritrattistica d'età barocca, guardando le opere di Giovanni Maria Morandi (1622; 1717), Agostino Masucci (1691-1758), Jacob Ferdinand Voet (1639-1700?) e specialmente Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio (1639-1709). Tuttavia, la sua arte rivela per raffinatezza e intonazione cromatica un'indole precocemente rococò, attenta alla posa degli effigiati e alla resa delle vesti, curando scrupolosamente i dettagli delle stoffe e dei merletti. Nel contempo, soprattutto nei ritratti inglesi, l'autore giunge a esiti di un sottile classicismo che riscontreremo nelle opere di Pompeo Batoni. Questi aspetti si colgono molto bene nell'opera in esame, straordinariamente sofisticata per esecuzione tecnica e, cosa non secondaria, da considerarsi un unicum per le eccezionali dimensioni del supporto in rame convesso. L'opera è corredata da una scheda critica di Alessandro Agresti. Bibliografia di riferimento: A. Spiriti, S. Capelli, I David: due pittori tra Sei e Settecento, catalogo della mostra, Milano 2004, ad vocem F. Petrucci, Pittura di ritratto a Roma: il Settecento, Roma 2010, I, pp. 216-222; II, pp. 534-552

Stima 5 000 - 8 000 EUR

Lotto 49 - GIANDOMENICO CIGNAROLI - (Verona, 1724 - 1793) Bozzetto per la pala del Redentore e santi della SS. Trinità a Crema Olio su tela, cm 65X43,5 Provenienza: Roma, Asta Minerva, 26 maggio 2016, lotto 117 (come scuola romana del XVIII secolo) Firenze, Pandolfini, 15 maggio 2018, lotto 40 (come Giandomenico Cignaroli) Roma, collezione privata Bibliografia: C. Alpini, Nuovi studi di Storia dell'Arte, in Insula Fulcheria. Rassegna di studi e documentazioni di Crema e del circondario a cura del Museo Civico di Crema e del Cremasco, n. XLVII, 2017, pp. 237-238 Allievo del fratello Giambettino, il pittore svolse gran parte della sua carriera nella bottega di famiglia e conseguì una autonomia professionale intorno al 1760, pur mantenendo uno stile in sintonia con la sua formazione. Nondimeno, Gian Domenico non smise mai di coadiuvare il fratello nelle opere di maggior impegno o a realizzare copie delle composizioni più note o facilmente commerciabili. Questa inclinazione, però, indusse il pittore a una sorta di singolare eclettismo, capace di guardare agli esempi tenebrosi del Piazzetta o a declinare le proprie composizioni con delicati accenni di classicismo. Tali commistioni si deducono bene nella tela in esame, che compendia l'eleganza rocaille cignaroliana, raffinatezze cromatiche e accenni chiaroscurali, obbligandoci a una rivalutazione delle sue qualità espressive. Infatti, Giandomenico sin dalle prime prove si differenzia per una sensibilità più fremente, un uso drammaticamente teatrale della luce e fisionomie introverse, come si evince guardando il San Luigi Gonzaga in preghiera firmato e datato 1748 (canonica di Maccacari presso Gazzo Veronese), la cui aria di malinconica spiritualità è prossima a quella della tela in esame, che riconosciamo quale bozzetto preparatorio per la pala eseguita per la chiesa della Santissima Trinità ora conservata presso il museo civico di Crema (fig. 1). Rispetto all'opera finita percepiamo alcune varianti nella presenza della croce che accompagna l'apparizione del Risorto e nella disposizione dei santi, il tutto caratterizzato da una vivacità chiaroscurale che ci permette di 'comprendere meglio l'evoluzione dell'idea compositiva di Gian Domenico, dall'estroso pensiero iniziale, alla calma redazione finale, offrendoci un pala che si può giudicare uno dei vertici della sua arte e in generale, della rappresentazione del sacro nel panorama dell'arte settecentesca italiana' (Cfr. Alpini 2017). Bibliografia di riferimento: Il Settecento a Verona: Tiepolo, Cignaroli, Rotari; la nobiltà della pittura, catalogo della mostra a cura di F. Magani, Cinisello Balsamo 2011, ad vocem D. Samatelli, Giandomenico Cignaroli, in I pittori dell'Accademia di Verona (1764 ; 1813), a cura di L. Caburlotto, F. Magani, S. Marinelli, C. Rigoni, Crocetta del Montello 2011, pp. 181-193 F. Benuzzi, Appunti per il catalogo di Giandomenico Cignaroli, in Arte Documento, 32, 2016, pp. 224-229

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 50 - PITTORE ATTIVO A BOLOGNA NEL XVI-XVII SECOLO - Giuditta e Oloferne Olio su tavola, cm 86,5X69,5 Provenienza: Roma, collezione privata La tavola mostra caratteri emiliani di fine Cinquecento, affinità con le creazioni di Lavinia Fontana (Bologna, 1552 ; Roma, 1614), ma anche una singolare suggestione nordica. Difatti, il tenore metallico delle stesure, l'energia espressiva e la pervicace attenzione nel descrivere i gioielli e i ricami delle vesti, suggeriscono il confronto con le creazioni di Denys Calvaert (Anversa, 1540 circa ; Bologna, 1619). Un valido parallelo ci viene offerto dalla Giuditta della Pinacoteca Stuard di Parma, nella quale osserviamo un volto somigliante con il medesimo sguardo, la forma indispettita delle labbra e un affine disegno delle mani e dei gesti (fig. 1). Altrettanto utile è il confronto con la Santa Cecilia della Galleria Nazionale di Parma, in cui sovvengono analoghe soluzioni sartoriali con l'uso di gioielli a guisa di spilla. Pertanto, l'opera a dispetto di una necessaria messa a punto della superficie, rivela un'alta qualità d'esecuzione, a sua volta avvalorata dalla preziosità dei pigmenti e della conduzione pittorica, contraddistinta da sapienti passaggi a velatura e cromie cangianti secondo la miglior arte fiamminga di gusto italianizzante. Come sappiamo, Calvaert lasciò Anversa in giovane età per recarsi in Italia e, raggiunta Bologna, fu allievo di Prospero Fontana e Lorenzo Sabatini, per poi soggiornare a Roma dal 1570 al 1572 per studiare le opere degli artisti rinascimentali. Tornato a Bologna aprì con successo la propria bottega creando opere in cui il possente colorismo dei manieristi fiamminghi si coniuga con la migliore tradizione italiana.

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 51 - POLIDORO DA LANCIANO - (Lanciano, 1515 - Venezia, 1565) Madonna con il Bambino e San Giovannino Olio su tavola, cm 53,5X48,5 Provenienza: Firenze, collezione privata Non si hanno notizie sull'educazione artistica del giovane Polidoro de Renzi, la sola testimonianza certa è del 1536, quando il suo nome viene registrato nella Fraglia dei Pittori Veneziani. Nella città lagunare certamente frequenta la bottega di Tiziano Vecellio, come attestano le sue Sacre Conversazioni, ma non è storicamente confermata la sua presenza nell'atelier del cadorino, laddove la sua arte appare altresì influenzata da Paris Bordon e Bonifacio de Pitati. Negli anni Quaranta licenzia la sua unica opera documentata, la pala raffigurante La Discesa dello Spirito Santo, destinata all'altare maggiore della chiesa omonima alle Zattere (Venezia, Gallerie dell'Accademia), ma in questo decennio si collocano altre opere di grande formato, dove si evincono chiare suggestioni tintorettesche. Nel 1552 realizza il perduto gonfalone per la Scuola Grande di San Teodoro, nel 1559 riceve la commissione per le portelle d'organo della Chiesa di San Giovanni in Bragora, mentre il suo stile manifesta chiare suggestioni del classicismo veronesiano, da cui trae moduli iconografici e una rinnovata modernità cromatica. La tavola in esame si può collocare al periodo giovanile, quando preponderanti sono i condizionamenti del Vecellio e la produzione è indirizzata a creare quadri di devozione e Sacre Conversazioni dal pieno carattere narrativo, seguendo formule iconografiche collaudate di gran successo. Bibliografia di riferimento: E. Martini, Pittura veneta e altra italiana dal XV al XIX Secolo, Rimini 1992, pp. 86-87, n. 32 V. Mancini, Polidoro da Lanciano, Lanciano 2001, ad vocem

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 56 - MARIO NUZZI detto MARIO DEI FIORI - (Roma, 1603 - 1673) Vaso di fiori Olio su tela, cm 81,3X57,2 Provenienza: New York, Sotheby's, 23 maggio 2001, lotto 76 (come Mario Nuzzi) Italia, collezione privata Il dipinto è un importante esempio della produzione di Mario Nuzzi detto Mario dei Fiori e la sua esecuzione si può collocare intorno al 1650. Il corpus del pittore è stato ricostruito a partire dalle opere firmate o documentate custodite nel Monastero dell'Escorial, a Palazzo Chigi di Ariccia (commissionate dal cardinale Flavio Chigi nel 1659) e in palazzo Colonna a Roma, dove in collaborazione con Carlo Maratti realizzò degli straordinari specchi dipinti (cfr. L. Laureati, in La natura morta in Italia, a cura di Francesco Porzio e Federico Zeri, Milano 1989, I, pp. 759-767). A queste si è aggiunta la serie di vasi fioriti già nella collezione Mansi a Lucca (cfr. G. e U. Bocchi, Mario Nuzzi detto Mario dei Fiori Pittori di natura morta a Roma, in Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630 ; 1750, Viadana 2005, pp. 67-142). Tornando alla biografia dell'autore, Lione Pascoli narra delle sue prime prove giovanili avvenute con il padre floricultore (cfr. L. Pascoli, Le vite de' pittori scultori et architetti moderni, II, Roma 1736, pp. 57-74), per poi passare secondo il Baglione nella bottega del Salini con cui precocemente ne divenne collaboratore, ereditandone la clientela alla sua morte avvenuta nel 1625 (G. Baglione, Le vite de' pittori, scultori et architetti, Roma 1642, p. 188). Questo apprendistato consentì al giovane di entrare in contatto con eruditi, accademici, botanici e artisti di natura morta dell'area barberiniana, come Cassiano del Pozzo, Jacopo Ligozzi, Anna Maria Vaiana, Daniel Seghers (cfr. M. Epifani e F. Solinas in Flora Romana. Fiori e cultura nell'arte di Mario de' Fiori, catalogo della mostra a cura di F. Solinas, Roma 2010, pp. 182-188, p. 34). Tali frequentazioni e il talento permisero al pittore di divenire uno dei più affermati fioranti del XVII secolo e nel 1650 si riscontra nei documenti quale: 'Marius, pictor romanus, vulgo Mario de' fiori' (cfr. Y. Primarosa, Flora Romana 2010, p. 58 op. cit.).

Stima 4 000 - 7 000 EUR

Lotto 57 - CARLO ANTONIO PROCACCINI - (Bologna, 1571 - Milano, 1630) Ebbrezza di Noè Olio su tavola, cm 63X80 Provenienza: Vienna, Dorotheum, 10 novembre 2022, lotto 232 (come Carlo Antonio Procaccini) Formatosi nella bottega del padre Ercole con cui lavoravano anche i fratelli Camillo e Giulio Cesare, la presenza a Milano del pittore è attestata nel 1590 quale collaboratore di Camillo nel cantiere della Villa di Visconti Borromeo a Lainate (Cfr. A. Morandotti, Milano profana nell'età dei Borromeo, Milano 2005). Se le prime opere di Camillo riflettono lo stile della bottega, come si evince osservando il 'quadrone' raffigurante la Morte di San Carlo Borromeo conservato nel duomo di Milano (Cfr. M. Rosci, I quadroni di San Carlo del Duomo di Milano, Milano 1965) e la Madonna del Rosario di Erve, che costituiscono le testimonianze di maggior rilievo della sua produzione pubblica, il pittore scelse ben presto di dedicarsi al genere della natura morta (cfr. A. Morandotti, Carlo Antonio Procaccini, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio; F. Zeri, I, Milano 1989, p. 233; D. Dotti, Carlantonio Procaccini pittore di nature morte, in Paragone, LXII, 2011, 741, pp. 35-41) e al paesaggio, facendo riferimento agli esempi di Paul Brill e Jan Bruegel. Questa predilezione è altresì confermata dall'uso di realizzare le proprie opere su tavola, atte a evocare al meglio le delicatezze espressive e cromatiche dei fiamminghi. Questo aspetto si coglie molto bene nell'opera in esame, i cui brani paesistici, e in modo particolare la descrizione degli alberi, evidenziano la preziosità della sua arte, condotta con attenzione miniaturistica e una rarefatta evocazione del paesaggio, il cui fondale si stempera in una delicata tonalità azzurra. Ma in questo caso si deve evidenziare una matura e autonoma interpretazione dell'arte nordica in chiave prettamente italiana, che si distingue dalle opere in cui l'autore svolge il proprio lavoro replicando fedelmente i modelli, come avviene nel Paesaggio con Santa Margherita conservato al Museo Ala Ponzone di Cremona, che si rivela smaccatamente una copia da Jan Brueghel (Cfr. A. Lo Conte, Carlo Antonio and the bottega Procaccini, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, 2020, pp. 13-14, figg. 5-6). Ciò induce a ipotizzare una data d'esecuzione matura, intorno al secondo e terzo decennio, documentando gli esiti migliori e più autonomi dell'artista. Si ringrazia Alberto Crispo per l'attribuzione. Bibliografia di riferimento: R. Longhi, Un italiano sulla scia di Elsheimer, Carlo Antonio Procaccini, in Paragone, XVI, 1965, 185, p. 43 A. Morandotti, in Pittura a Milano dal Seicento al Neoclassicismo, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1999, pp. 12-17, 235-244 A. Crispo, Carlo Antonio e l'eredità dei Procaccini, in Paragone, LIV, 2003, 639, pp. 42-50 A. Crispo, Qualche proposta per Camillo Antonio Procaccini, in Parma per l'arte, XVIII, 2012, 2, pp. 69-72

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 58 - GIROLAMO NEGRI detto IL BOCCIA - (Bologna, 1648 - 1720) San Pietro Olio su tela, cm 76X62,5 Allievo di Domenico Maria Canuti e Lorenzo Pasinelli (Cfr. M. Oretti 1760-1780 ca., ms. B. 130, Biblioteca dell'Archiginnasio, Bologna, pp. 42-45), nel 1682 l'artista affronterà la decorazione della chiesa dei Celestini, impresa a fresco che gli valse successivamente diverse commissioni. Ricordiamo in questa sede quelle per i padri gesuiti di Modena e Mirandola, il grande Martirio di San Bartolomeo della controfacciata per l'omonima chiesa di Modena e l'ancona raffigurante San Liborio che adora la Beata Vergine sempre a Mirandola. Come si evince dall'opera in esame, l'artista non fu esente da quelle eleganti influenze neo reniane che riuscì a esprimere con maestria dipingendo opere da cavalletto, concepite con la compostezza classicista desunta da Guido Reni e raffinate preziosità cromatiche di ascendenza pasinelliana. L'opera è corredata da una scheda critica di Alberto Crispo. Bibliografia di riferimento: G.P. Zanotti, Storia dell'Accademia Clementina, Bologna 1739, II, p. 102: G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi, Modena 1855, p. 332 G. Soli, Chiese di Modena, a cura di G. Bertuzzi, Modena 1974, I, p. 147 R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna 1977, pp. 94 e 282 P. Barocelli, L'arte degli Estensi. La pittura del Seicento e del Settecento a Modena e a Reggio, catalogo della mostra, Modena 1986, pp. 210-211 A. Mazza, Schede Girolamo Negri, detto Il Boccia, in catalogo della mostra Tesori ritrovati. La pittura del ducato estense nel collezionismo privato, Modena 1998, schede nn. 43-44

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 59 - GIOVANNI ANDREA SIRANI - (Bologna, 1610 - 1670) San Pietro penitente Olio su tela, cm 72X58,5 Artista di primo piano della pittura bolognese d'età barocca, Giovanni Andrea Sirani fu uno dei migliori allievi e collaboratori di Guido Reni, altresì dotato di una ragguardevole abilità grafica, tanto che il maestro affidava a lui il compito di preparare e abbozzare le opere. Lo stesso Malvasia ci informa di un ruolo rilevante all'interno della bottega, soprattutto per la sorprendente attitudine di contraffare lo stile del maestro, consentendogli di ultimarne le opere lasciate incompiute dopo la morte nel 1642. Questa sapienza tecnica, unita alla felicità di pennello, infatti, ha spesso indotto a comprensibili errori attributivi. Nel nostro caso si riconosce al Sirani la sofisticata costruzione dell'immagine che ben evoca le tele dell'attività estrema di Reni e di particolare bellezza sono le stesure degli incarnati che esprimono una diafana densità e una conduzione pittorica che calibra gli spessori evocando al meglio i volumi e le ombre, agevolando la lettura del sofisticato disegno delle mani e delle forme. Bibliografia di riferimento: F. Frisoni, in La scuola di Guido Reni, a cura di E. Negro e M. Pirondini, Modena 1992, pp. 365-381 M. Pulini, Gianandrea Sirani, una storia da riscrivere: la pittura da camera e d'altare; novità e aggiornamenti, in About Art online 1 febbraio 2020 (https://www.aboutartonline.com/gianandrea-sirani-una-storia-da-riscrivere-la-pittura-da-camera-e-daltare-novita-e-aggiornamenti/)

Stima 5 000 - 8 000 EUR

Lotto 65 - GIOVANNI BATTISTA ABRET - (Anversa, 1640 - Torino, 1709) Veduta di piazza Duomo Olio su tela, cm 60,5X78 Provenienza: Torino, collezione privata Nativo di Anversa, ma attivo a Torino fra il 1673 e il 1709, Abret fu un pittore di successo e i documenti lo attestano al servizio di Casa Savoia e dei Principi di Carignano, per i quali realizza paesaggi e vedute. Le sue opere risultano altresì collezionate non solo dai suoi colleghi come Scipione Cignaroli e Giacomo Antonio Curlando (Cfr. A. Cifani, F. Monetti, Indagini per la storia dei ritrattisti a Torino nel Settecento. Giovanni Battista Curlando, 'Pittore di Corte' dei Savoia dal 1700 al 1710), ma anche dal ministro di stato marchese d'Ormea. Lo stile dell'artista manifesta una chiara similitudine con Pietro Maurizio Bolckman (Gorinchem, circa 1630/1640 ; Torino, 1710) e Pieter Bout (Bruxelles, 1658 ; Bruxelles, 1719), autore di scene di mercati e di genere sulla scia di altri forestieri attivi in Italia. Detto ciò, le vedute qui presentate si rivelano di notevole importanza e, come ben osserva Arabella Cifani, sono databili con grande precisione poiché la facciata di Palazzo Madama fu progettata e realizzata da Filippo Juvarra tra il 1718 e il 1721 per Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, seconda Madama Reale. Nel 1721 la facciata era terminata, quindi il quadro si colloca cronologicamente immediatamente dopo la fine di questi lavori. La tela raffigurante piazza del Duomo, invece, presenta la torre campanaria prima dell'intervento di Filippo Juvarra del 1720, che la sopraelevò di 12 metri ponendo alla sommità una cella campanaria barocca. Secondo la studiosa, però, le due tele non sono riferibili alla medesima mano, quella dedicata al Duomo si deve considerare una delle più antiche vedute della piazza a noi note e databile ai primissimi anni del Settecento, come suggeriscono anche le acconciature 'alla Fontange' di alcune donne rappresentate, una moda che scompare dopo il 1715. Si ringrazia Arabella Cifani per l'attribuzione e le annotazioni storiche. Bibliografia di riferimento: A. Cifani, F. Monetti, I Piaceri e le Grazie. Collezionismo, pittura di genere e di paesaggio fra sei e settecento, Torino 1993, ad indicem A. Cifani, F. Monetti, L'inedita collezione di dipinti di Pietro Mellarède (1659-1730), ministro di Vittorio Amedeo II, e dei suoi eredi del Castello di Betton Bettonet in Savoia (Francia), in: Saggi e memorie di storia dell'arte, Venezia, Fondazione Giorgio Cini 2010, pp. 165-203 A. Cifani , F. Monetti, La straordinaria collezione di dipinti di Pietro Mellarède (1659-1730), ministro di vittorio Amedeo II, e dei suoi eredi del Castello di Betton Bettonet in Savoia in: Utrecht 1713; i trattati che aprirono le porte d'Italia ai Savoia. Studi per il terzo centenario, a cura di Gustavo Mola di Nomaglio e Giancarlo Melano, Torino 2014, pp. 391-419

Stima 3 000 - 5 000 EUR

Lotto 67 - ANTHONIE PALAMEDESZ - (Leith, 1602 - Amsterdam, 1673) Corpo di guardia, 1650 Firmato Palamedes in basso a sinistra Olio su tavola, cm 33,5X38,5 Provenienza: Londra, Bonhams, 10-11 dicembre 2002, lotto 278(come Anthonie Palamedesz) Londra, Christie's, 7 novembre 2003, lotto 26 (come Anthonie Palamedesz) Collezione privata Bibliografia: RKD: https://rkd.nl/images/118801 Palamedesz dipinse principalmente ritratti e, in modo particolare, scene di genere, mentre suo fratello Palamedes Palamedesz fu un celebre battaglista. Secondo l'istituto RKD, Anthonie si formò con Michiel Jansz, Van Mierevelt e Hans Jordaens e si era unito alla Gilda di San Luca di Delft già nel 1621. L'attività dell'artista si affianca a quella di altri pittori operanti ad Haarlem e ad Amsterdam negli anni Trenta del Seicento, quali Dirk Hals, Pieter Codde e Willem Duyster. Le loro 'allegre compagnie' vedono raffigurati giovani dame e cavalieri dell'alta borghesia intenti a conversare in ameni giardini o in interni, in una sottesa allusione alla sfera dell'amore e alla sensualità cui spesso si ricollega la musica, qui rappresentata dal violoncello. L'opera è corredata da una scheda critica di Raffaella Colace. Bibliografia di riferimento: J. Rosen, Masculinity pacified: Women as Mothers in the Guardroom Scenes of Anthonie Palamedes (1602-1673), De Zeventiende Eeuw 24, 2008, pp. 181-195 J. Rosen, Anthonie Palamedes's paintings for the Delft Surgeons Guildhall, The Burlington Magazine 163, February 2021, pp. 119-127

Stima 1 500 - 2 500 EUR

Lotto 70 - PIETER DE MOLIJN (attr. a) - (Londra, 1595 - Haarlem, 1661) Paesaggio con pescatori Olio su tavola, cm 53,5X69,5 Provenienza: Vienna, Galleria San Lucas (1929, come Klaes Molenaer) Amsterdam, Christie's, 10 novembre 1997, lotto 59 (come attribuito a Pieter De Molijn) Londra, Sotheby's, 9 luglio 1998 (come Klaes Molenaer secondo il certificato C. Hofstede de Groot del marzo 1929) Collezione privata Bibliografia: RKD: https://rkd.nl/imageslite/183975 (come Klaes Molenaer) RKD: https://rkd.nl/images/36777 (come attribuito a Pieter de Molijn) Già riferito a Klaes Molenaer (Haarlem, 1630 ; 1676) da C. Hofstede de Groote e così presentato nel 1929 dalla Galleria San Lucas di Vienna, l'opera è stata successivamente attribuita a Pieter De Molijn, ma nuovamente ricondotta al catalogo di Molenaer nel 1998 dagli esperti Sotheby's e, infine, ricondotta al catalogo di Molijn dall'RKD. Fatti questi chiarimenti critici, l'opera è da considerare una preziosa testimonianza dell'artista, considerato dagli storici dell'arte odierni uno dei fondatori di quella che viene definita la fase tonale della pittura paesaggistica olandese sulla scia di Jan van Goyen e Salomon van Ruysdael riscuotendo un notevole successo. Attesta questo giudizio la testimonianza di Arnold Houbraken che all'inizio del XVIII secolo scrisse che 'Pieter de Molijn era un abile pittore di paesaggi, chiaro nel modo in cui rendeva le distanze e luminoso nei suoi primi piani' (Cfr. A. Houbraken, De groote schouburgh der Nederlantsche konstschilders en schilderessen Amsterdam: Houbraken, 1718¿1721, 1:215). L'opera è corredata da una perizia di C. H. de Groot in fotocopia. Bibliografia di riferimento: A. Blankert, P. C. Sutton, Masters of 17th-century Dutch landscape painting, Amsterdam 1987, pp. 374-376

Stima 1 500 - 2 500 EUR

Lotto 72 - GASPARE DIZIANI - (Belluno, 1689 - Venezia, 1767) Bozzetto raffigurante mercanti Olio su tela applicata su tavola, cm 20,3X36,7 Di bella qualità e conservazione, la tela è un bozzetto in cui l'autore pone in piccolo una scena di genere, verosimilmente destinata a comporre brani di complemento di una più ampia opera. I caratteri di stile, l'esuberanza cromatica e la vivacità delle stesure è quanto mai debitrice delle creazioni di Sebastiano Ricci, ma tipica è la conduzione pittorica di Gaspare Diziani che, allievo di Gregorio Lazzarini e poi del conterraneo Sebastiano, acquisirà notorietà realizzando inizialmente scenografie teatrali e successivamente eleganti composizioni di carattere storico e mitologico. Attivo dal 1717 alla corte di Augusto III di Sassonia a Dresda e a Monaco di Baviera, tornato in patria nel 1720 Diziani lavorò in tutto il Veneto e in modo particolare a Padova e a Belluno. Si ferma anche a Roma, Bergamo e Trento, affrontando tutti i temi pittorici, dal paesaggio al ritratto storico e alla pittura religiosa. Nel 1766, è eletto alla presidenza dell'Accademia di Pittura di Venezia, ma non può concludere il mandato perché muore improvvisamente il 17 agosto 1767. Tornando alla tela in esame, presenta affinità illustrative con un disegno esitato presso la Sotheby's di Londra il 30 aprile 1990, lotto 95 (fig. 1). Bibliografia di riferimento: R. Pallucchini, Gaspare Diziani, in La pittura nel veneto. Il Settecento, Milano 1996, II, pp. 86, 104

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 74 - FELICE BOSELLI - (Piacenza, 1651 - Parma, 1732) Donna morsa da un granchio Olio su tela, cm 95X74,5 Provenienza: Italia, collezione privata Con una composizione sviluppata verticalmente e la visione della protagonista in primo piano, Felice Boselli ci offre un efficace ritratto di popolana. L'esuberanza espressiva e caricaturale è straordinaria, non solo per l'eccessivo naturalismo del segno, ma anche per la spietata sensibilità che non si disgiunge da una simultanea analisi sociale delle classi subalterne lombarde. L'artista non prova inibizioni nel gestire un segno morbido, libero, che utilizza sbavature di colore denso, turgido e colante, che vibra sotto la lama di luce che cade dall'alto a sinistra. Luce che delinea un volto sgraziato, alterato dal dolore e degno del miglior espressionismo novecentesco, che fa emergere con maggiore energia critica la figura maschile in secondo piano che, nell'accarezzare il collo della giovane, sembra incapace di celare la propria lussuria, connotando la dicotomia allusivamente erotica che permea questa tipologia di opere, contigue alla cultura burlesca e teatrale settecentesca. Per concludere, forse la frase più efficace per riassumere le doti artistiche di Felice Boselli la offre Ferdinando Arisi nella sua monografia del 1973: 'Boselli è un artista estroso, con impennate arditissime e slanci lirici che poi si smorzano o affogano nel reale quotidiano'. Bibliografia di riferimento: F. Arisi, Felice Boselli pittore di natura morta, Roma 1973, ad vocem

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 76 - GIUSEPPE NOGARI - (Venezia, 1699 - 1763) Ritratto di filosofo Olio su tela, cm 60,5X46,5 Provenienza: Vienna, Dorotheum, 14 aprile 2005, lotto 69 (come Giuseppe Nogari) Italia, collezione privata Riguardo la formazione artistica di Giuseppe Nogari le fonti storiche concordano nel considerarlo un allievo di Antonio Balestra, sottolineando però che nel periodo che passò alla sua scuola, 'non diede mai contrassegni di quella egregia maniera, tenera, pastosa, vaga e naturale, che da sè si formò di poi' (Orlandi; Guarienti, 1753, p. 235). Formazione che si presume sia proseguita sino al 1718 e in seguito raffinata con il Piazzetta, mentre la registrazione alla Fraglia dei Pittori veneziani avvenuta nel 1726 segna l'inizio della sua autonomia professionale. La tela in esame esprime al meglio la maniera dell'artista, la cui fama presso i contemporanei si deve al peculiare talento nel creare teste di carattere sugli esempi di Piazzetta e di Giovanni Battista Tiepolo, senza tralasciare l'influenza dei modelli olandesi, soprattutto rembrandtiani, che caratterizzarono anche alcune opere del Maggiotto. Ad assecondare questa attitudine fu, secondo Guarienti, il marchese milanese Ottavio Casnedi. Costui 'intendentissimo dell'arte, ed avendo osservato nel Nogari un certo spirito e grazia nel far le mezze figure, gli diede commissione di farne parecchie, intorno a cadauna delle quali avendogli detto il suo giudizio, e datogli utili avvertimenti, di questi tanto egli si approfitto, che in poco tempo colla sua nuova singolare maniera ad un distinto grado di reputazione salì' (Orlandi; Guarienti, 1753). Bibliografia di riferimento: P.A. Orlandi, P. Guarienti, Abecedario pittorico accresciuto da Pietro Guarienti, Venezia 1753, p. 235 R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, I, Milano 1995, pp. 570-578 Teste di fantasia del Settecento veneziano, catalogo della mostra a cura di R. Mangili e G. Pavanello, Venezia 2006, p. 118

Stima 1 500 - 2 500 EUR

Lotto 77 - GIROLAMO TROPPA - (Rocchetta Sabina, 1636 circa - Roma, 1706) Lucrezia Olio su tela, cm 96,5X73,5 Dopo i primi studi condotti dal Verani nel 1961, la personalità di Girolamo Troppa fu delineata da Stella Rudolph nel 1977 e nel 1980 fu Busiri Vici a dedicargli un saggio di notevole valenza critica, rivelandosi quale attento collezionista del pittore. Girolamo Troppa, pur essendo una delle personalità più interessanti della pittura romana tardo seicentesca, fatica inspiegabilmente a essere riconosciuto quale protagonista, in virtù della tempra tenebrosa e naturalistica, sostanzialmente in antitesi alla pittura barocca in auge. Infatti, trovando sintonie espressive con le creazioni di Mattia Preti, Pier Francesco Mola e Giacinto Brandi, Troppa fu in grado di creare un elegante e colto dialogo con il classicismo incipiente, rievocando con modernità modelli carracceschi senza tralasciare le novità introdotte dal Ghezzi, il Giminiani e Giovanni Battista Gaulli con il quale collaborò al Collegio Romano, affermando una consapevole e voluta autonomia stilistica e culturale. A dimostrazione di questa tesi si pone allora con misurata precisione la tela qui presentata, che documenta l'elegante sintesi delle tendenze pittoriche, collocandosi con autorevolezza tra il lanfranchismo chiaroscurale di Giacinto Brandi, la sapienza marattesca e, attraverso una sprezzatura classicista, guardare agli esempi emiliani di Reni. Si osservi a questo proposito la vivacità espressiva del volto, gli eleganti spartiti cromatici delle vesti che agevolano l'illusione della profondità scenica delimitata da una tenda sul fondo. L'opera trova confronto con la Lucrezia della collezione di Carlo Croce (Cfr. Petrucci 2021, pp. 260-261, n. 14c) e con la Giuditta con la testa di Oloferne (Petrucci 2021, pp. 264, n. 31c) a dimostrazione della capacità dell'autore nel comporre usufruendo dei più diversi registri stilistici. Bibliografia di riferimento: A. Busiri Vici, Un dimenticato pittore del tardo Seicento Gerolamo Troppa, in Scritti d'Arte, Roma 1990, pp. 430-440, fig. 4 E. Schleier, Aggiunte a Girolamo Troppa pittore e disegnatore, in Antichità Viva, XXXII, 5, 1993, pp. 16-23 E. Schleier, Girolamo Troppa, in Altomani 2004, pp. 167-177, n. 16 F. Petrucci, Girolamo Troppa, Un protagonista del barocco romano, a cura di F. Petrucci, Todi 2021, ad vocem

Stima 3 000 - 5 000 EUR

Lotto 78 - CARLO PREDA (attr. a) - (Milano, 1651 o 1652 - 1729) Matrimonio mistico di Santa Caterina Olio su tavola, cm 55X45,5 Provenienza: Torino, collezione privata La formazione del Preda si è svolta presso lo zio materno, il pittore Federico Bianchi, il cui influsso si avverte nelle opere giovanili, contraddistinte da un registro luministico energico e contrastato. A questo periodo si datano le tele dell'Immacolata e del Crocifisso con i Santi Bernardino e Pasquale Baylon del convento francescano di Santa Maria delle Grazie a Bellinzona (1690 ca.). Dal Bianchi paiono derivare anche le tipologie fisionomiche femminili e il gusto cromatico, vivace e cangiante, che il Preda, grazie agli esempi dell'arte genovese e veneta, tramuterà in un elegante linguaggio rococò. Questo cambiamento di stile avviene durante l'ultimo decennio del secolo, quando il carattere drammatico delle sue opere declina verso modalità pittoriche più sciolte e morbide, attraverso uno schiarimento della gamma cromatica e un più equilibrato svolgimento. Le sue composizioni, impostate con ricercata eleganza su piani in diagonale, gli consentono d'immaginare scenografie dal notevole effetto narrativo, appropriate per ottenere importanti commissioni ecclesiastiche, fra le quali quelle destinate alle solenni funzioni festive del Duomo di Milano. A questo proposito ricordiamo la tela per la festa di San Carlo, eseguita intorno al 1700 e quelle raffiguranti La Maddalena comunicata da San Massimino e Bimbo salvato dalla fornace realizzate per la festa del Corpus Domini e oggi conservate presso la chiesa milanese di S. Antonio. L'opera qui presentata si data agli anni maturi, collocabile dopo fra la famosa Santa Caterina in Carcere datata al 1694 (Milano, Civiche Raccolte d'Arte) e la Santa Maria Maddalena comunicata da San Massimo, conservata nella chiesa milanese di Sant'Antonio e anch'essa datata intorno al 1700. Bibliografia di riferimento: A. Maria Bianchi, Carlo Preda, in Il Settecento Lombardo, catalogo della mostra a cura di Rossana Bossaglia e Valerio Terraroli, Milano 1991, pp. 173-176, nn. I. 145, I. 146, I. 147. S. Coppa, Carlo Preda, in Pittura a Milano dal Seicento al Neoclassicismo, a cura di M. Gregori, Milano 1999, pp. 286-288, tavv. 95-96

Stima 1 000 - 2 000 EUR

Lotto 89 - CARLO CERESA - (San Giovanni Bianco, 1609 - Bergamo, 1679) Apparizione di Gesù Bambino a Sant'Antonio da Padova Olio su tela, cm 70,3X54,3 Riconosciuto alla mano di Carlo Ceresa da Massimo Pulini, la tela, sia pur sporca e con una vernice ingiallita, mostra una stesura pittorica ben conservata e di alta qualità, percepibile osservando gli incarnati e il tessuto del saio. Il tema della visione di Sant'Antonio fu più volte affrontato dall'artista e ricordiamo in questa sede la pala conservata nella chiesa di San Pancrazio a Gorlago che, datata al 1652-1655, offre altresì un utile spunto cronologico (D. Bonfatti, in Carlo Ceresa.. 2012, pp. 210-211. N. 75). Infatti, la conduzione e la tipologia dei volti trovano maggiori analogie rispetto alla tela di Brancilione del 1663, dal carattere fortemente mistico e drammatico (D. Bonfatti, in Carlo Ceresa.. 2012, pp. 212-213. N. 76). Nel nostro caso si scorgono altre similitudini con il Sant'Antonio di Alzano Lombardo che risulta donato da Pietro Pelliccioli nel 1656 e con la tela di Mezzoldo del 1658 (Vertova, p. 703. 587/169). Detto questo, la fortuna illustrativa inerente al santo padovano si spiega grazie alla sua elezione nel 1652 a compatrono della città di Bergamo e proprio nel corso del Sesto decennio vediamo l'autore concepire queste immagini la cui consuetudine compositiva è caratterizzata da una umana dolcezza emanata dall'abbraccio del Bimbo da parte di un giovane a occhi chiusi. Giovane le cui fattezze emanano ancora un'eco degli insegnamenti di Daniele Crespi, ma anche una intonazione che tradisce influenze del classicismo emiliano di Reni e Guercino. Si ringrazia Massimo Pulini per l'attribuzione. Bibliografia di riferimento: U. Ruggeri, Carlo Ceresa. Dipinti e disegni, Bergamo 1979, ad vocem L. Vertova, Carlo Ceresa, in I Pittori Bergamaschi. Il Seicento, Bergamo 1984, II, pp. 403; 733 Carlo Ceresa. Un pittore del Seicento lombardo tra realtà e devozione, catalogo della mostra, a cura di S. Facchinetti, F. Frangi, G. Valagussa, Cinisello Balsamo 2012, ad vocem

Stima 1 000 - 2 000 EUR

Lotto 92 - FRANCESCO NARICI - (Genova, 1719 - 1785) Modelletto della pala raffigurante l'Adorazione dei pastori della chiesa dell'Ave Gratia Plena a Marcianise Olio su tela, cm 44X25 Il modelletto in esame fu dipinto da Francesco Narici intorno al 1775, in preparazione di una delle sette pale destinate alla chiesa dell'Ave Gratia Plena di Marcianise. La serie è costituita da: la Vergine col Bambino, l'Estasi di Santa Rosa da Lima, la Vergine che appare a Gregorio Magno, l'Adorazione dei pastori, l'Adorazione dei magi, i Santi Lorenzo e Girolamo e la Madonna del Rosario, unica firmata e datata 1777. Per questa impresa l'artista realizzò una serie di studi preparatori di cui conosciamo quelli inerenti all'apparizione della Vergine a Gregorio Magno di collezione privata newyorchese, La Madonna del Rosario e Santi della Galleria Heim di Parigi e quello della collezione Stanley a Montclair (cfr. Spinosa 1987, p. 129, n. 188, figg. 235-238). Dal punto di vista stilistico queste opere si confrontano con quelle dipinte poco dopo per la chiesa genovese di Santa Zita, dedicate a otto episodi tratti dall'agiografia della santa titolare, in cui l'autore esibisce una piena autonomia di linguaggio, distaccandosi dai modi del maestro Francesco Solimena e accostandosi agli esiti di Francesco de Mura e Jacopo Cestaro (cfr. Sanguineti 2001). Bibliografia di riferimento: F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalla formazione all'Accademia, I, Genova 1864, pp. 165-167 N. Spinosa, Un pittore genovese nella Napoli del secondo Settecento: Francesco Narici, in Napoli Nobilissima, s. III, XII, 1973, pp. 165-176 M. Newcome, Genoese Neapolitan Connection in the Settecento: Palmieri, Campora and Narice, in Antichità Viva, XX, 1981, n. 1, pp. 15-23, 45 N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento dal Rococò al Classicismo, Napoli 1987, p. 61 L. Ghio, Francesco Narice, in La pittura in Italia. Il Settecento, a cura di G. Briganti, II, Milano 1990, p. 804 D. Sanguineti, Pittura napoletana del Settecento in Liguria: il caso di Francesco Narici, in Prospettiva, n. 103/104, 2001, pp. 159-168 I Miracoli di Santa Zita di Francesco Narici, a cura di L. Parodi, S. Mazzi, Genova 2019, ad vocem

Stima 800 - 1 200 EUR

Lotto 93 - PAOLO DE MATTEIS - (Piano del Cilento, 1662 - Napoli, 1728) Bozzetto raffigurante la Madonna con il Bambino e le anime purganti, 1710 circa Olio su tela, cm 54,5X36,5 Provenienza: Roma, collezione privata Paolo de Matteis fu uno degli artisti napoletani più celebrati, rivelandosi tra gli interpreti più raffinati e brillanti della pittura tra Arcadia e Rococò. Allievo di Luca Giordano, il pittore lavorò per le maggiori committenze europee. Visse a Parigi durante il primo decennio del Settecento e si staccò dalla formazione iniziale elaborando uno stile ricco di suggestioni. Questo rinnovamento il nostro riuscì a imporlo affrancandosi dal giordanismo di maniera e anticipando Francesco Solimena già a partire dall'ultimo decennio del Seicento, concependo un rinnovato lessico estetico-formale. In questo momento si può riferire la tela in esame, la cui conduzione suggerisce di trovarci al cospetto di un modello destinato al compimento di una composizione di maggior dimensioni. A confronto viene in aiuto la pala firmata e datata 'Paulus De Matteis p. 1698' conservata a Nardò (fig. 1) e la pala firmata e datata 1710 custodita nella chiesa dello Spirito Santo a Ischia, in cui possiamo notare i medesimi colori trascoloranti senza il minimo accenno di ombre. Si può quindi affermare come l'autore, in questo caso, avvii quel processo evolutivo modulando l'enfasi barocca, schiarendo le stesure giordanesche cercando di giungere a quell'ideale estetico di maggior razionalità e, parafrasando Orazio Ferrari, ottenere un tratto sia pur acerbo di una visione illuministica dell'arte (cfr. O. Ferrari, Le arti figurative, in Storia di Napoli, Napoli 1970, VI. 2, p. 1326). Bibliografia di riferimento: N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento. Dal Barocco al Rococò, Napoli 1986, I, pp. 31-35, 129-138 C. Gelao, Confraternite arte e devozione in Puglia, dal Quattrocento al Settecento, Napoli 1994, p. 268 Paolo de Matteis un cilentano in Europa, catalogo della mostra a cura di G. Citro, Napoli 2013, ad vocem

Stima 2 000 - 3 000 EUR

Lotto 94 - VICTOR JEAN NICOLLE - (Parigi, 1754 - 1826) Veduta di Piazza San Marco con l'omonima chiesa, il Palazzetto di San Marco e l'inizio dei lavori progettati dal Valadier Veduta del Foro Boario con i templi Ercole vincitore e del Portunus Matita e acquerello su carta, cm 19X30,5 (2) Provenienza: Londra, Sotheby's, 6 luglio 1992, lotto 109 (come Victor Jean Nicolle) Formatosi all'Accademia del disegno a Parigi, nel 1771 Nicolle vinse il premio di prospettiva e la sua fama precoce è documentata dalla volontà di Luigi XVI di inviarlo in Italia con il compito di disegnare le principali vedute della penisola, soggiornando a Venezia, Bologna, Firenze, Napoli e Roma. Inutile rimarcare che il numero maggiore di queste opere sono dedicate alla Città Eterna, dove Nicolle visse dal 1787 al 1789 e successivamente dal 1806 al 1811. La precisione delle sue vedute è certamente degna della migliore tradizione, non solo per la loro qualità, ma anche per la precisione descrittiva e topografica, coniugata a una peculiare sensibilità atmosferica. Possiamo verificare questi aspetti nel secondo foglio che ritrae il Foro Boario con i templi di Ercole vincitore in primo piano e di Portunus, trasformato in chiesa e intitolata a Santa Maria Egiziaca, il cui punto di vista è analogo a quello impiegato da Francis Town in un acquerello realizzato nel 1781 oggi al British Museum. La veduta di Piazza San Marco, invece, documenta l'inizio dei lavori del 1806 per il rinnovamento progettato dall'architetto Giuseppe Valadier che prevedeva l'abbattimento del Palazzetto, poi scongiurato grazie all'intervento di Antonio Canova, che nell'edificio aveva insediato la sua Accademia di Belle Arti del Regno d'Italia.

Stima 4 000 - 7 000 EUR

Lotto 100 - LEONARDO CARLO COCCORANTE - (Napoli, 1680 - 1750) Capriccio architettonico con figure Olio su tela, cm 134,5X103 Reca sul verso della tela bollo in ceralacca del regno delle due Sicilie e etichetta con iscritto 10. Provenienza: Collezione conte Spada (secondo etichetta sul verso) Collezione William Niven Londra, Sotheby's, 5 dicembre 1923, lotto 52 (come Alessandro Magnasco) Il dipinto in esame si può considerare tra le prove migliori dell'artista, in analogia con i due Capricci esitati dalla Sotheby's di New York il 5 giugno 2014, lotto 40 (fig. 1), in cui le originarie influenze codazziane e d'Angelo Maria Costa, lasciano spazio a rivisitazioni rosiane rievocate con sensibilità rococò, in analogia con le tele di Gennaro Greco. Coccorante, infatti, è uno dei paesaggisti più importanti del primo Settecento napoletano, sovente coadiuvato nelle parti di figura da Giovanni Marziale, Giuseppe Tomajoli e Giacomo del Po, come testimonia il De Dominici. L'artista è autore di paesaggi e vedute fantastiche, caratterizzate da sfondi marini in burrasca e capricci d'intonazione preromantica. Le prime rivalutazioni della sua personalità si devono agli studi d'Oreste Ferrari (1954) e Sergio Ortolani (1970), dove la figura del Coccorante emerge per qualità esecutiva ed invenzione. Le ricerche affrontate in previsione della mostra sul Settecento napoletano del 1979 e i conseguenti approfondimenti condotti da Nicola Spinosa e Leonardo di Mauro, concedono un'adeguata lettura critica della sua produzione. Bibliografia di riferimento: N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento, dal Barocco al Rococò, Napoli 1986, pp. 69-75, 89, 173-174, nn. 344-350 R. Muzii, Leonardo Coccorante, in La pittura di paesaggio in Italia. Il Settecento, a cura di A. Ottani Cavina ed E. Calbi, Milano 2005, pp. 158-160, con bibliografia precedente

Stima 8 000 - 12 000 EUR