DROUOT
martedì 25 giu a : 14:30 (CEST)

ANTICHI MAESTRI

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164 bis, avenue Charles-de-Gaulle 92200 Neuilly-sur-Seine, Francia
Exposition des lots
samedi 22 juin - 11:00/17:00, Neuilly-sur-Seine
lundi 24 juin - 10:00/18:00, Neuilly-sur-Seine
mardi 25 juin - 10:00/12:00, Neuilly-sur-Seine
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82 risultati

Lotto 55 - ALESSANDRO MAGNASCO, DIT IL LISSANDRINO Gênes, 1667 – 1749 - Ritratto di un ecclesiastico Tela Iscritto lungo il bordo inferiore: STA.STILVM.AVOTI. BLASI.V.P. 65,5 x 51 cm - 25 13/16 x 20 1/16 in. Ritratto di un ecclesiastico, olio su tela PROVENIENZA Vendita Christie's (Londra), 4 luglio 1997, lotto 336 (come attribuito ad Alessandro Magnasco); collezione privata svizzera. Si ringrazia la professoressa Fausta Franchini Guelfi, specialista dell'artista, per aver confermato l'autenticità dell'opera nel febbraio 2024 dopo un esame visivo e per aver fornito le informazioni necessarie alla stesura dell'avviso. La professoressa inserirà a breve il dipinto in una pubblicazione. Nato a Genova, l'artista soprannominato Lissandrino si allontanò dalla città natale in giovane età, stabilendosi a Milano negli anni Ottanta del XVI secolo. Frequenta la scuola di Filippo Abbiati (1640 - 1715) e sviluppa presto una tendenza ai toni accesi e ai forti contrasti di luce e ombra, ispirandosi al suo maestro e allo studio di pittori come Giovanni Battista Crespi (1573 - 1632), Mazzucchelli (1573 - 1626) e Francesco Cairo (1607 - 1665). A Milano fu apprezzato dall'aristocrazia locale e presto entrò nella cerchia di artisti protetti dal Gran Principe Ferdinando III de' Medici (1663 - 1713) e dai collezionisti del suo entourage, prima di partire per Firenze nel 1703. Qui definisce il suo stile studiando le incisioni di Jacques Callot (1592 - 1635) e le opere di Salvator Rosa (1615 - 1673) e Livio Mehus (1627 - 1691). Nel 1709 tornò a Milano, dove rimase fino al 1735, prima di tornare definitivamente a Genova. Lasciando Genova in giovanissima età, Magnasco si era sottratto all'influenza di Van Dyck (1599 - 1641) e Rubens (1577 - 1640), influenza esercitata all'epoca dai fratelli De Wael (1591 - 1661; 1592 - 1667), Jan Roos (1591 - 1638) e Vincenzo Malo (1602 circa - 1644), arricchita poco più tardi dalla ritrattistica rigaldiana. Milano, invece, gli permise di sviluppare nei suoi ritratti una chiara preoccupazione per una resa senza compromessi dei suoi modelli, guidata da un realismo severo in cui rifiutava qualsiasi elogio della natura, mettendo in scena una scena sontuosa su uno sfondo di pesanti drappeggi e colonne monumentali. Qui, su uno sfondo scuro, si staglia la figura di un uomo di mezza età, posizionato a metà corpo, leggermente a tre quarti e con una berretta nera, che fa pensare a un ecclesiastico. I capelli di media lunghezza ricadono ai lati del viso, che emerge da un abito scuro da cui fa capolino il colletto della camicia. La luce colpisce il suo lato destro, accentuando le linee e le rughe e non risparmiando le altre poche imperfezioni fisiche, come una piccola verruca sotto l'occhio destro. Fausta Franchini Guelfi, specialista dell'artista a cui l'opera è stata sottoposta, ritiene che si tratti di un ritratto giovanile - probabilmente uno dei primi - che Magnasco dipinse tra il 1687 e il 1690. In quel periodo si trovava a Milano, dove sviluppò veramente la sua ritrattistica, lavorando per un'aristocrazia ricca e illuminata. Fu spietato con il suo modello, senza che nulla arricchisse l'estrema semplicità della presentazione su questo sfondo disadorno. La severità dell'insieme, il gioco di chiaroscuri e le ampie pennellate intensificano la presenza del modello, il cui carattere severo sembra emergere. Carlo Giuseppe Ratti scrisse del pittore: "Riuscì soprattutto a fare ritratti, molti dei quali colti meravigliosamente dal vero "1 . Ecco cosa abbiamo qui, il volto di un uomo congelato nella sua forma più vera e semplice, perfettamente privo di artifici. Franchini Guelfi sottolinea la caratteristica grafia del pittore nei tratti del viso, i contorni inquieti del colletto bianco, che si ritrovano in un ritratto eseguito negli stessi anni, conservato a Palazzo Bianco a Genova 2 . Le lunghe pennellate della barretta si ritrovano anche in un altro ritratto di scrittore 2 dove, su richiesta del committente, il pittore dovette aggiungere una libreria come sfondo. Non solo un'opera giovanile, il ritratto di ecclesiastico di Magnasco va visto come uno degli ultimi esempi del genere prima che il pittore si dedicasse a vivaci composizioni di piccole figure, uno stile che sarà il suo più grande successo. Alla fine del XVII secolo, l'approccio di Magnasco al ritratto si concentra sugli aspetti più evidenti e realistici del personaggio, anticipando in un certo senso ciò che Giacomo Ceruti (1698 - 1767) farà con i propri modelli. 1 Carlo Giuseppe RATTI, Delle vite de' pittori, scultori, ed architetti genovesi, Genova 1769, vol. II, p.156. 2 Si veda Fausta Franchini Guelfi, Aless

Stima 30 000 - 40 000 EUR

Lotto 58 - ATTRIBUÉ À GERRITSZ. VAN ROESTRAETEN Haarlem, 1627 - 1698, Londres - Ritratto di Carlo II (1630-1685) e pezzi di argenteria su una trabeazione Tela 64,2 x 72 cm - 24 1/4 x 28 3/8 poll. Ritratto di Carlo II (1630-1685) e pezzi di argenteria su una trabeazione, tela Secondo lo storico dell'arte Jean-Baptiste Descamps (1714 - 1791), il pittore olandese Roestraten, allievo di Frans Hals (1580-1666), era un ritrattista esperto. Al suo arrivo in Inghilterra nel 1666, Roestraten fu accolto calorosamente da Peter Lely (1618 - 1680), ritrattista alla corte del re d'Inghilterra. Tuttavia, l'entusiasmo svanì presto quando Sir Lely temette che il talento di Roestraten avrebbe minacciato la sua posizione di ritrattista preferito alla corte di Carlo II (1630-1685). Per ovviare a ciò, si dice che Lely abbia stipulato un accordo con il pittore olandese, permettendogli di mantenere i diritti esclusivi sui ritratti in cambio della libertà di Roestraten di esplorare tutti gli altri generi artistici, con il sostegno di Lely nel promuovere i suoi meriti a corte. Roestraten fiorì così nel suo studio di Covent Garden, vicino a quello di Peter Lely, specializzandosi in nature morte impreziosite da oro e argento, nello spirito del nostro dipinto. Qui troviamo infatti il suo modello della coppa d'argento caratteristica del primo regno di Carlo II, che l'artista riprodusse in diverse composizioni, in particolare in quella venduta il 18 maggio 2006 da Sotheby's New York (lotto n. 7).

Stima 3 000 - 5 000 EUR

Lotto 63 - ATTRIBUÉ À GASPAR JACOB VAN OPSTAL Anvers, 1654 - 1717 - Mosè salvato dalle acque Tela 113,5 x 161,5 - 44 5/8 x 63 1/2 pollici. Mosè salvato dalle acque, olio su tela PROVENIENZA Vendita Christie's, Parigi, 16 giugno 2023, n° 143 come "École française du début du XVIIIe siècle. Entourage de Nicolas Bertin"; vendita anonima, Drouot Montaigne, Parigi, 25 giugno 1991, n°50. È stata suggerita un'attribuzione a Jean-Baptiste de Champaigne (1631 - 1681). Il tema biblico del salvataggio di Mosè era molto popolare nell'iconografia del XVII secolo. Per gli storici dell'arte biblica, la popolarità delle rappresentazioni della vita di Mosè si spiega con la loro natura allegorica, che prefigura la vita di Cristo. Il salvataggio di Mosè prefigura quello di Gesù bambino, scampato al massacro dei Santi Innocenti. Anche Bossuet (1627-1704) analizzò questa scena come prefigurazione della resurrezione di Cristo dopo la sua passione1. Il tema e il suo simbolismo furono particolarmente apprezzati dai pittori classici, in particolare da Nicolas Poussin (1594 - 1665), il cui Mosè salvato dalle acque è l'interpretazione più nota del tema. Queste allegorie bibliche si svilupparono rapidamente sulla scia del Concilio di Trento, che avviò una riaffermazione della fede cattolica in Europa in reazione alla Riforma. Esse assunsero uno scopo didattico attraverso la pratica diffusa dell'allegoresi (cioè la decifrazione delle allegorie), finalizzata a ravvivare la devozione dei fedeli. Le scene bibliche rappresentate erano quelle che suscitavano le emozioni del pubblico, generalmente la pietà e la sofferenza attraverso la rappresentazione della Passione di Cristo o dei martiri dei santi, o la tenerezza attraverso la figura giovanile del bambino. Il tema di Mosè che viene salvato dalle acque da bambino ne è un esempio lampante. 1 Bossuet scrive: "La prima cosa che Dio fece per far capire al suo popolo che stava preparando per loro un liberatore nella persona di Moyse, fu di permettere che fosse esposto alle stesse torture degli altri, e come loro gettato nel Nilo a morire" in BOSSUET Jean-Bénigne, Elévations sur les mystères, 1687, ed. by M. Dréano, Paris, 1962, pagina 229.

Stima 10 000 - 15 000 EUR

Lotto 67 - ANTOINE COYPEL Paris, 1661 - 1722 - Venere addormentata Tela 51,5 x 65 cm - 20 ¼ x 25 9/16". Venere dormiente, olio su tela PROVENIENZA Forse Pierre Le Tessier de Montarsy (1647 - 1710), al quale l'incisore dedicò la sua opera; forse la collezione J. A. Peters; forse la sua vendita del 1779, dove Saint-Aubin la disegnò a margine del catalogo. BIBLIOGRAFIA Nicole Garnier, Antoine Coypel 1661 - 1722, Paris, Arthena, 1989, P.159, n°104 (dipinto perduto). OPERA CORRELATA Incisione di Gaspard Duchange (nello stesso senso del nostro dipinto), "dedicata a Monsieur de Montarsy, garde des pierreries de la Couronne; seigneur de Biesvre et de la Motte". disegno preparatorio al Louvre (RF 12.338 albuch Koch, Garnier, op. cit. p. 216, n° 407). Sono note diverse copie. L'argentiere Pierre Le Tessier de Montarsy (1647 - 1710) e Antoine Coypel erano legati da vincoli familiari e di amicizia. Il primo aveva visto crescere il secondo come vicino di casa, dato che i loro padri avevano ottenuto degli appartamenti riservati agli artisti nelle gallerie del Louvre, e in seguito anche loro avevano ottenuto la residenza. Pierre Letessier fu gioielliere del re Luigi XIV dal 1676 al 1710. Nel 1680 incaricò Antoine Coypel, appena diciannovenne, di dipingere il Maggio di Notre-Dame (un'Assunzione della Vergine perduta e non incisa), poi il suo ritratto intorno al 1700 (Garnier, p. 135, op. cit. n. 69, anch'esso perduto). Nel 1712, Coypel acquistò 168 disegni per il re dalla proprietà di Pierre de Montarsy, oggi al Louvre. Tema ricorrente nella pittura occidentale, la Venere addormentata scoperta da un satiro viene talvolta confusa con quella di Giove e Antiope (il dio dell'Olimpo ha assunto, in questa occasione, le sembianze di un satiro). Al di là della "disputa cromatica", Antoine Coypel proponeva una sintesi tra classici e modernisti, ben consapevole degli esempi di questi soggetti di Correggio e Poussin presenti nella collezione reale e della Venere del Pardo di Tiziano, da lui stesso restaurata. Questo dipinto amatoriale può essere datato intorno al 1700-1710. Probabilmente commissionato da un artista all'altro, ciascuno incaricato di una parte della collezione reale, il trattamento del soggetto mitologico anticipa di una decina d'anni la pittura galante ed erotica della Reggenza (il dipinto di Watteau su questo tema -Louvre- è da collocare intorno al 1715-1716). Madame Nicole Garnier, che ringraziamo per aver esaminato il nostro dipinto, ha gentilmente indicato di ritenere la tela autografa, ma di aver notato la probabile partecipazione della bottega per il satiro e i due putti a sinistra.

Stima 6 000 - 8 000 EUR

Lotto 73 - ÉCOLE DE QUITO DU XVIIIe SIÈCLE - La proposta di matrimonio Tela 77,7 x 96,5 cm - 30 9/16 x 38 pollici. La proposta di matrimonio, olio su tela PROVENIENZA Collezione Louis Hermann (1877 - 1959), presumibilmente ottenuta dalla sorella Amélie (1883 - 1954) e dal cognato Enrique Freymann (1888 - 1954), addetto culturale in Messico, poi per discendenza. Si ringraziano Carlos Duarte Gaillard † direttore del Museo d'Arte Coloniale di Caracas e Gérard Priet per il loro prezioso aiuto nella stesura di questo avviso, basato sulle informazioni fornite. Su uno sfondo estremamente sobrio di cielo nuvoloso e terreno irregolare, si stagliano tre figure: una giovane donna bianca accompagnata ai lati da due indiani. Di carnagione pallida, riccamente vestita e con una rosa castigliana in mano, la donna, che può essere identificata come una nobildonna per il suo aspetto lussuoso, sembra gesticolare per ricevere le richieste dell'uomo che è venuto a incontrarla. Il lama che accompagna l'uomo lo identifica come un mulattiere, mentre i vestiti bordati di pizzo sotto l'abito nero suggeriscono che ha prestato particolare attenzione al suo abbigliamento. A questa attenzione per i dettagli fa eco la scelta dell'abbigliamento dell'altra donna a sinistra che, pur indossando un abito più sobrio rispetto al compagno, sfoggia una serie di gioielli, tra cui una spilla - un tupu (gioiello inca) - e ornamenti tra i capelli e intorno ai polsi, oltre a pizzi e merletti. Questa rappresentazione quasi teatrale va sicuramente vista come una scena di proposta di matrimonio. L'uomo, accompagnato dal suo compagno di lavoro, viene a chiedere la mano alla ricca padrona della giovane serva sulla sinistra. È interessante notare che probabilmente non si tratta di un dipinto di casta. Infatti, nelle pinturas de castas - soprattutto messicane - si stabilisce un rapporto di dominanza tra il personaggio o i personaggi dalla pelle particolarmente chiara e il personaggio o i personaggi dalla pelle particolarmente scura (Fig. 1). Oltre al colore della pelle, anche l'altezza è diversa: gli europei appaiono più alti degli indigeni; allo stesso modo, i bianchi sono molto più sfarzosamente adornati, rafforzando il contrasto con la modestia e la sobrietà degli abiti locali. Questo si può notare nell'opera di Vicente Albán, pittore attivo a Quito alla fine del XVIII secolo (Fig. 1-2). Nella nostra pittura non si tratta neppure di raffigurare la flora e la fauna locali per soddisfare una certa curiosità scientifica d'oltreoceano. Qui, se esiste un rapporto di dominazione, ha più a che fare con la posizione sociale tra padrone e servo, che con una gerarchia stabilita sulla base delle origini etniche. Qui la donna bianca diventa la destinataria della richiesta del mulattiere, l'intercessore dell'unione desiderata. Inoltre, alla fine del XVIII secolo, era estremamente raro vedere rappresentati gli indiani in Ecuador. Alcuni esempi si trovano nelle collezioni del Museo San Francisco di Quito (Fig. 3), che raffigurano un francescano che battezza gli indios, identificabili per i loro copricapi piumati, e nelle opere di Albán sopra citate, anche se questi esempi sono estremamente rari e superano le opere a tema mariano. È stato il culto della Vergine Maria a mettere radici profonde e durature durante l'evangelizzazione delle popolazioni sudamericane da parte dei conquistadores spagnoli. È interessante notare che in questo periodo si sviluppò in Ecuador una scuola di scultura le cui opere sono tra le più apprezzate nel corpus dell'arte coloniale sudamericana. L'unicità della scena raffigurata e l'estrema attenzione prestata ai vari elementi utilizzati per rappresentare le figure, le stoffe e gli abiti contribuiscono a conferire a quest'opera un carattere eccezionale. Senza dubbio unica tra le opere d'arte ecuadoriane del XVIII secolo finora conosciute, è un meraviglioso esempio il cui significato storico e simbolico è ancora tutto da esplorare.

Stima 40 000 - 50 000 EUR

Lotto 74 - ERNEST CHARTON THIESSEN DE TREVILLE Sens, 1816 - 1877, Buenos Aires - Toro selvaggio con due lassi Tela Firmata e localizzata in basso a destra ER. CHARTON / Souvenir du CHILI 43,5 x 73 cm - 17 5/16 x 28 3/4 in. Toro selvatico con due lassi, olio su tela, firmato e localizzato in basso a destra PROVENIENZA Famiglia Cellérier fin dall'inizio, poi per discendenza. Nato a Sens nel 1816 da una famiglia di origini modeste1 , nulla sembrava predestinare Ernest Charton a una vita da pittore itinerante ai confini del mondo. Di lui ci sono giunte poche informazioni, ma sembra che si sia stabilito per un certo periodo a Le Havre nel XIX secolo. Sembra che si sia stabilito per un certo periodo a Le Havre tra il 1838 e il 1839, dove gestiva un negozio di novità2. Nel 1844 si trova a Parigi e Charles Gleyre (1806 - 1874) si iscrive all'École des Beaux-Arts. Charton è menzionato solo una volta nel registro dei verbali di concorso3, ma non sembra che frequentasse le lezioni con grande regolarità. Dal 1845 pensava a un viaggio in Sudamerica e nel gennaio 1847 partì da solo per il Cile. Nel 1848 proseguì per la California, che forse non raggiunse mai, dato che la sua nave era stata rubata durante uno scalo alle isole Galapagos4. Nel 1849 è in Ecuador, dove gestisce per breve tempo una piccola scuola di pittura. Per quasi tre anni continua a viaggiare per il Cile, visitando le zone circostanti e recandosi in Perù, che attraversa per un certo periodo, senza dubbio accompagnato nelle sue peregrinazioni da compatrioti come Léonce Angrand (1808 - 1886) e Paul Marcoy (1815 - 1887)5 . Nel 1852 tornò in Francia per un breve periodo. Arricchito dalle sue avventure, pubblica alcuni articoli su L'Illustration o sul Magasin Pittoresque diretto dal fratello Édouard (1807 - 1890), riportando e illustrando i suoi resoconti di viaggio, che si basano sulle sue osservazioni e, già da allora, sul suo amore per ciò che ha scoperto del continente sudamericano. Nel 1855 salpa nuovamente per il Cile, questa volta portando con sé la moglie e i figli. Si stabilirono in una piccola strada di Santiago ed Ernest aprì un negozio di materiali per la pittura e il disegno, oltre che di dipinti. Contemporaneamente offre lezioni e gestisce un laboratorio di fotografia6. In seguito visitò l'Ecuador e il Perù, prima di recarsi in Argentina, dove morì nel dicembre 1877. Fino a poco tempo fa, una collezione di souvenir di viaggio del pittore è stata battuta all'asta7, così come la sua Veduta di Valparaiso8, illustrata da un punto di osservazione della città e della baia. Tra i ritagli di giornale e le illustrazioni contenute nei cimeli, sono incluse due fotografie dei dipinti che presentiamo oggi (Fig. 1-2). Questo ci permette di vedere che, senza dubbio con una preoccupazione per la verità topografica, l'artista ha usato le sue fotografie per perfezionare la rappresentazione dei luoghi scelti. Questa ricerca di autenticità continua nei momenti di vita osservati, negli uomini e nelle donne indigene che popolano la sua vita quotidiana e che incontriamo nei suoi dipinti. Nel 1871, il fratello Edouard prende in prestito la scena di Lazo per illustrare un articolo del Magasin pittoresque9 , da lui stesso diretto (Fig. 3). In linea con la consuetudine dell'anonimato della rivista, l'articolo raccontava l'usanza di cacciare i buoi selvatici da parte di Gauchos e Puelches, pastori delle pampas sudamericane. L'autore spiega che la scena si svolge "in prossimità delle vaste colline pedemontane [sic] delle vicine Cordigliere del Cile". Due cavalieri a cavallo cercano di sottomettere un toro, che all'ultimo momento trattengono per le corna, impedendogli di travolgere con la sua furia una donna e i suoi due figli. Mentre fuggono, uno di loro perde il cappello di paglia, mentre l'altro quasi scopre il seno della madre mentre si aggrappa al suo corpetto, aumentando la dinamica vorticosa della scena. La polvere vola, i gesti sono vivaci, è una frazione di secondo che il pittore utilizza per illustrare la vita di questi pastori. La vita sul ponte di Calicanto (Fig. 4) è molto più tranquilla. Situato su un lato della riva del fiume, il tempo sereno era ideale per passeggiare. In basso, le carovane risalgono il Mapocho, quasi asciutto, l'intero paesaggio si staglia sullo sfondo scosceso delle Ande. L'interesse documentario di questo luogo è accresciuto dal fatto che il ponte è stato demolito nel 1888 e che sono pochi, se non addirittura inesistenti, i dipinti che lo ritraggono. Santiago deve essere stata un meraviglioso terreno di gioco per il pittore, che vi portò il suo cavalletto, come dimostrano altre sue opere conservate in Cile, come una Veduta della Cañada (Fig. 5), il quartiere a cui conduceva il Ponte Calicanto, o quella di

Stima 40 000 - 60 000 EUR