DROUOT
mercoledì 17 lug a : 15:00 (CEST)

MERAVIGLIE ATTO II. LA GIOIA A COLORI. TORNATA FINALE

Bonino - +393461299980 - Email

Via Filippo Civinini, 37 00197 Rome, Italia
Exposition des lots
samedi 13 juillet - 11:00/18:00, Bonino - Nord Est
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129 risultati

Lotto 248 - Annarita Librari (1950) , per Cartiere Miliani, Fabriano Annarita Librari (1950) , per Cartiere Miliani, Fabriano La Primavera, da Botticelli, 2000 Filigrana in chiaroscuro retroilluminata 19,5 x 14,6 cm (luce) Firma: "A. Librari" in lastra Data: "2000" in lastra Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA Stato di conservazione. Supporto: 90% (apparato elettrico non verificato) Stato di conservazione. Superficie: 90% In asta, un esemplare di filigrana artistica in chiaroscuro, realizzata da una mano non identificata, per la storica Cartiera Miliani, di Fabriano, sul disegno, rielaborato, della Primavera di Botticelli. Come ricorda Annarita Librari, "Con Giuseppe Miliani (1816 - 1890), nipote di Pietro (1744 - 1817), fondatore della ditta Miliani, la cartiera si ingrandisce, la carta da disegno si afferma come la migliore, tanto che alla esposizione di Londra nel 1851 viene premiata, e la carta valori comincia ad essere la specialità della fabbrica fabrianese. Alla morte di Giuseppe la cartiera era già un grande complesso, ma sarà il figlio Giambattista (1856-1937) ad operare l’effettiva trasformazione da azienda artigianale ad industriale (...). Giambattista alle conoscenze tecniche unisce un’ampia visione dell’organizzazione industriale grazie ai frequenti viaggi che, fin da giovanissimo, compie in diverse nazioni europee e in Nord America. Nel 1889 riceve la Legion d’onore per aver presentato, all’esposizione di Parigi, le migliori filigrane per i biglietti di banca. Per le filigrane di Fabriano, ancor prima del riconoscimento parigino, esisteva un vero e proprio entusiasmo. Nel 1886 Ernst Kirchner di Francoforte sul Meno scrive: “Le vostre carte filigrane sono le più belle che io abbia mai veduto fino ad ora. Da quando posseggo questi veramente artistici fogli non oso più nemmeno guardare gli stessi prodotti della Germania. I ritratti, come pure i dettagli che li ornano sono di una finezza ammirabile, perfetta e formano ora il punto essenziale di questa modesta collezione che io curo con molto amor proprio”. Nel settore della Filigrana artistica in chiaro-scuro per banconote Giambattista, in un primo momento, per l’incisione su cera si avvalse del prof. Bianchi di Roma, medaglista dei Sacri Palazzi Apostolici, che direttamente da Roma inviava a Fabriano le cere commissionate. Successivamente, la sua lungimiranza e previdenza lo spinsero a dotare l’Officina Filigrane delle cartiere di Fabriano della sezione di incisione su cera, dove destinò giovani e abili artisti che riuscirono a soddisfare appieno le esigenze aziendali. Capostipite di questa scuola fu Serafino Cilotti (1868-1943), che realizzò opere di notevole impatto artistico, da considerare come una nuova forma di espressione d’arte figurativa su cera, Angelo Bellocchi (1880-1939) e Virgilio Brozzesi (1869-1946). Allievi di Cilotti possono considerarsi Aldo Frezzi (1885-1972), (...) Eraldo Librari (1907-1988) e Luigi Filomena. Luigi Casoni fu incisore delle Miliani fino al 1958, quando fu chiamato dalla Banca d’Italia per incidere le “testine” delle banconote." ( Annarita Librari, "Cera una volta... la Filigrana Artistica in chiaroscuro"). La storia della cartiera Miliani è stata ricostruita da Bruno Bravetti, nella monografia “Giambattista Miliani”, Affinità Elettive, 2010. La datazione, 2000, si riferisce alla matrice.

Stima 40 - 60 EUR

Lotto 260 - Francesco Garofoli (XX secolo) Francesco Garofoli Apologia del Sentino ed altre due stampe Acquaforte su carta 49,3 x 69,5 cm (ogni foglio, con minime variazioni) Firma: “Garofoli” a matita al recto in ogni stampa Altre iscrizioni: “Apologia del Sentino” a matita al recto; tiratura “54/125” a matita al recto; “Apologia del Sentino” a matita al recto; tiratura “110/125” a matita al recto; “Ultimo Sole in Calabria” a matita al recto; tiratura “35/125” a matita al recto Elementi distintivi: al recto, timbro a secco dell’artista su ogni stampa Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA Stato di conservazione. Supporto: 75% (strappi al margine sinistro; pieghe diffuse) Stato di conservazione. Superficie: 85% Francesco Garofoli nasce a Sassoferrato nel 1928. Nel 1947 si iscrive alla Scuola d’Arte di Urbino, specializzandosi in litografia. Termina gli studi nel 1952. Nel 1953 l’Accademia Raffaello di Urbino gli conferisce il diploma di merito. Nel 1951 è tra i tre fondatori della Rassegna d’Arte “G. B. Salvi”. Nel 1988 viene nominato Cavaliere della Repubblica dall’allora presidente Francesco Cossiga. Per molti anni insegna disegno e storia dell’arte nelle scuole superiori, coltivando contemporaneamente la produzione artistica nel campo grafico e pittorico. Giornali, riviste e molte pubblicazioni hanno seguito la sua attività. Ha tenuto numerose mostre personali in Italia e all’estero, ricevendo consensi e premi; sue opere sono state esposte, oltre che nelle maggiori città italiane anche Parigi, Tokio, Hong Kong, Città del Messico, Guadalajara, Cracovia, Zaragozza. La sua carriera di artista ci è stata riassunta in poche righe dal suo amico e critico Fabio Ciceroni: “Quell’angolo di universo che si svela per una delicatezza sospesa, e che può risultare imprendibile all’osservatore frettoloso dell’oggi, e che si ha quasi il pudore di rivelare per paura di non trovarne la misura espressiva, Francesco Garofoli lo ha fatto affiorare lungo tutta la sua sensibile fatica d’artista”. Il lotto include due fogli della stampa intitolata alla "Apologia del Sentino" ed uno raffigurante "L'ultimo Sole in Calabria"

Stima 50 - 70 EUR

Lotto 262 - Cartiere Miliani Fabriano (1782 circa) Cartiere Miliani Fabriano (1782 circa) Il David di Michelangelo, 1976 Filigrana in chiaroscuro retroilluminata 40,8 x 34,4 cm (luce) Firma: “F. Librari” in lastra Data: in lastra, "1976" Altre iscrizioni: in lastra "C. M. FABRIANO" Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA Stato di conservazione. Supporto: 85% (parti elettriche non verificate o mancanti; danni alla cornice) Stato di conservazione. Superficie: 90% In asta, un esemplare di filigrana artistica in chiaroscuro - la data si riferisce alla preparazione della matrice - realizzata da Franco Librari, per la storica Cartiera Miliani, di Fabriano, sul modello celeberrimo del "David" di Michelangelo. Come ricorda Annarita Librari, figlia di Franco Librari, "Con Giuseppe Miliani (1816 - 1890), nipote di Pietro (1744 - 1817), fondatore della ditta Miliani, la cartiera si ingrandisce, la carta da disegno si afferma come la migliore, tanto che alla esposizione di Londra nel 1851 viene premiata, e la carta valori comincia ad essere la specialità della fabbrica fabrianese. Alla morte di Giuseppe la cartiera era già un grande complesso, ma sarà il figlio Giambattista (1856-1937) ad operare l’effettiva trasformazione da azienda artigianale ad industriale (...). Giambattista alle conoscenze tecniche unisce un’ampia visione dell’organizzazione industriale grazie ai frequenti viaggi che, fin da giovanissimo, compie in diverse nazioni europee e in Nord America. Nel 1889 riceve la Legion d’onore per aver presentato, all’esposizione di Parigi, le migliori filigrane per i biglietti di banca. Per le filigrane di Fabriano, ancor prima del riconoscimento parigino, esisteva un vero e proprio entusiasmo. Nel 1886 Ernst Kirchner di Francoforte sul Meno scrive: “Le vostre carte filigrane sono le più belle che io abbia mai veduto fino ad ora. Da quando posseggo questi veramente artistici fogli non oso più nemmeno guardare gli stessi prodotti della Germania. I ritratti, come pure i dettagli che li ornano sono di una finezza ammirabile, perfetta e formano ora il punto essenziale di questa modesta collezione che io curo con molto amor proprio”. Nel settore della Filigrana artistica in chiaro-scuro per banconote Giambattista, in un primo momento, per l’incisione su cera si avvalse del prof. Bianchi di Roma, medaglista dei Sacri Palazzi Apostolici, che direttamente da Roma inviava a Fabriano le cere commissionate. Successivamente, la sua lungimiranza e previdenza lo spinsero a dotare l’Officina Filigrane delle cartiere di Fabriano della sezione di incisione su cera, dove destinò giovani e abili artisti che riuscirono a soddisfare appieno le esigenze aziendali. Capostipite di questa scuola fu Serafino Cilotti (1868-1943), che realizzò opere di notevole impatto artistico, da considerare come una nuova forma di espressione d’arte figurativa su cera, Angelo Bellocchi (1880-1939) e Virgilio Brozzesi (1869-1946). Allievi di Cilotti possono considerarsi Aldo Frezzi (1885-1972), (...) Eraldo Librari (1907-1988) e Luigi Filomena. Luigi Casoni fu incisore delle Miliani fino al 1958, quando fu chiamato dalla Banca d’Italia per incidere le “testine” delle banconote." "Eraldo Librari apprese quest’arte soprattutto osservando Serafino Cilotti mentre incideva, o meglio “rubando con l’occhio” attento e predisposto, avendo già alle spalle una preparazione artistica e una innata attitudine verso le più svariate forme d’arte. Entrò in Cartiera dopo aver vinto un concorso, rispettando la tradizione familiare che aveva visto il padre Decoroso e il nonno Angelo lavorare nella prestigiosa fabbrica fabrianese come lavoranti al reparto tini. Eraldo, da giovane, dopo aver frequentato la scuola professionale, fu allievo intagliatore del Prof. Ivo Quagliarini di Fabriano, lavorando nel suo mobilificio; fu un abile e fecondo scultore realizzando numerosi busti di noti personaggi fabrianesi dell’epoca; fu autore di numerose poesie e un compositore di canzoni; incisore su cera di numerose opere d’arte di grandi dimensioni e di testine per banconote, settore trainante dell’azienda, quest’ultime precedute da numerosi disegni preparatori a matita e a china, in un’epoca dove tutto era affidato all’abilità manuale dell’artista. Le incisioni di grandi dimensioni, che l’azienda faceva realizzare ai suoi più validi incisori, per fine propagandistico e d’immagine, non sono delle semplici e fredde riproduzioni di opere d’arte o ritratti, ma il frutto di una personale interpretazione che si riflette in uno stile espressionistico e scultoreo (dove un semplice elemento paesaggistico, come una pianta, viene reso con la minuzia di un botanico, le espressioni dei volti riflettono il pathos del personaggio ritratto), influenzato dal suo coinvolgimento emotivo e dalla sua sensibilità. Si tratta di un coinvolgimento che lo porta quasi a dimenticare il fine dell’incisione su cera - come fase principale di un lungo proces

Stima 30 - 50 EUR

Lotto 276 - Cartiere Miliani Fabriano (1782 circa) Cartiere Miliani Fabriano (1782 circa) San Pietro Filigrana in chiaroscuro retroilluminata 41,8 x 29,8 cm (luce) Altre iscrizioni: "CARTIERE MILIANI FABRIANO" Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA Stato di conservazione. Supporto: 85% (parti elettriche non verificate o mancanti; danni alla cornice) Stato di conservazione. Superficie: 90% In asta, un esemplare di filigrana artistica in chiaroscuro, realizzata per la storica Cartiera Miliani, di Fabriano, sul prospetto di San Pietro. Come ricorda Annarita Librari, figlia di Franco Librari, "Con Giuseppe Miliani (1816 - 1890), nipote di Pietro (1744 - 1817), fondatore della ditta Miliani, la cartiera si ingrandisce, la carta da disegno si afferma come la migliore, tanto che alla esposizione di Londra nel 1851 viene premiata, e la carta valori comincia ad essere la specialità della fabbrica fabrianese. Alla morte di Giuseppe la cartiera era già un grande complesso, ma sarà il figlio Giambattista (1856-1937) ad operare l’effettiva trasformazione da azienda artigianale ad industriale (...). Giambattista alle conoscenze tecniche unisce un’ampia visione dell’organizzazione industriale grazie ai frequenti viaggi che, fin da giovanissimo, compie in diverse nazioni europee e in Nord America. Nel 1889 riceve la Legion d’onore per aver presentato, all’esposizione di Parigi, le migliori filigrane per i biglietti di banca. Per le filigrane di Fabriano, ancor prima del riconoscimento parigino, esisteva un vero e proprio entusiasmo. Nel 1886 Ernst Kirchner di Francoforte sul Meno scrive: “Le vostre carte filigrane sono le più belle che io abbia mai veduto fino ad ora. Da quando posseggo questi veramente artistici fogli non oso più nemmeno guardare gli stessi prodotti della Germania. I ritratti, come pure i dettagli che li ornano sono di una finezza ammirabile, perfetta e formano ora il punto essenziale di questa modesta collezione che io curo con molto amor proprio”. Nel settore della Filigrana artistica in chiaro-scuro per banconote Giambattista, in un primo momento, per l’incisione su cera si avvalse del prof. Bianchi di Roma, medaglista dei Sacri Palazzi Apostolici, che direttamente da Roma inviava a Fabriano le cere commissionate. Successivamente, la sua lungimiranza e previdenza lo spinsero a dotare l’Officina Filigrane delle cartiere di Fabriano della sezione di incisione su cera, dove destinò giovani e abili artisti che riuscirono a soddisfare appieno le esigenze aziendali. Capostipite di questa scuola fu Serafino Cilotti (1868-1943), che realizzò opere di notevole impatto artistico, da considerare come una nuova forma di espressione d’arte figurativa su cera, Angelo Bellocchi (1880-1939) e Virgilio Brozzesi (1869-1946). Allievi di Cilotti possono considerarsi Aldo Frezzi (1885-1972), (...) Eraldo Librari (1907-1988) e Luigi Filomena. Luigi Casoni fu incisore delle Miliani fino al 1958, quando fu chiamato dalla Banca d’Italia per incidere le “testine” delle banconote." "Eraldo Librari apprese quest’arte soprattutto osservando Serafino Cilotti mentre incideva, o meglio “rubando con l’occhio” attento e predisposto, avendo già alle spalle una preparazione artistica e una innata attitudine verso le più svariate forme d’arte. Entrò in Cartiera dopo aver vinto un concorso, rispettando la tradizione familiare che aveva visto il padre Decoroso e il nonno Angelo lavorare nella prestigiosa fabbrica fabrianese come lavoranti al reparto tini. Eraldo, da giovane, dopo aver frequentato la scuola professionale, fu allievo intagliatore del Prof. Ivo Quagliarini di Fabriano, lavorando nel suo mobilificio; fu un abile e fecondo scultore realizzando numerosi busti di noti personaggi fabrianesi dell’epoca; fu autore di numerose poesie e un compositore di canzoni; incisore su cera di numerose opere d’arte di grandi dimensioni e di testine per banconote, settore trainante dell’azienda, quest’ultime precedute da numerosi disegni preparatori a matita e a china, in un’epoca dove tutto era affidato all’abilità manuale dell’artista. Le incisioni di grandi dimensioni, che l’azienda faceva realizzare ai suoi più validi incisori, per fine propagandistico e d’immagine, non sono delle semplici e fredde riproduzioni di opere d’arte o ritratti, ma il frutto di una personale interpretazione che si riflette in uno stile espressionistico e scultoreo (dove un semplice elemento paesaggistico, come una pianta, viene reso con la minuzia di un botanico, le espressioni dei volti riflettono il pathos del personaggio ritratto), influenzato dal suo coinvolgimento emotivo e dalla sua sensibilità. Si tratta di un coinvolgimento che lo porta quasi a dimenticare il fine dell’incisione su cera - come fase principale di un lungo processo che richiede alcune particolari accortezze tecniche - e a trattarla come un’opera scultorea finale o come un pezzo di legno da intagliare, dove la materia deve essere rimos

Stima 30 - 50 EUR

Lotto 279 - Emilio Tadini (1927 - 2002) Emilio Tadini (1927 - 2002) Il poeta assassinato, 1990 Olio su tela 54,5 x 65,5 cm Firma: “Tadini” sul verso Altre iscrizioni: “Il poeta assassinato” sul verso Provenienza: Studio Marconi, Milano (1990); Veneto Banca SpA in LCA Stato di conservazione. Supporto: 95% Stato di conservazione. Superficie: 95% Un punto centrale nella produzione di Tadini è il dialogo tra letteratura e pittura, che lo porta ad essere illustratore di scrittori sia nell'ambito di edizioni a stampa (ex multis, Louis F. Céline, "Scandalo negli abissi", illustrazioni di Emilio Tadini, a cura di Ernesto Ferrero, Genova, 1992) sia nei propri dipinti. L'opera in esame, databile alla fine degli anni Ottanta, rappresenta probabilmente la riflessione di Tadini su "Il poeta assassinato" di Guillaume Apollinaire, apparso in Italia in più edizioni, tra cui quella per i tipi de "Il Formichiere", a Milano, nel 1976, e, proprio nel 1990 in due edizioni, per i tipi di Orsa Maggiore, Settimo Milanese, e Studio Editoriale a Milano. Proprio l'apparizione in libreria di queste due edizioni insieme alla data di vendita dell'opera a Veneto Banca (12 luglio 1990), consente di datare l'opera ai primi mesi del 1990. Tadini mostra un uomo in abito verde, ben riconoscibile come pittore da due tubetti di colore in tasca, che si porta una mano al fianco, ha perso l'equilibrio e sta per cadere dalla tela. Un uomo in costume fugge sul lato del dipinto, scalzo, su una base grigia, con soltanto una casupola rossa contro l'orizzonte azzurrissimo. Tratto anatomico: le lunghe gambe, la piccola testa. Assistiamo quindi ad una scena tragica? Probabilmente Tadini alludeva semplicemente alla voglia di scappare al mare, nel caldissimo giugno-luglio meneghino (come soleva lamentare la critica d'arte Rossana Bossaglia, "ben più rovente di agosto"), lasciando perdere gli impegni intellettuali. Opposte, infatti, le direzioni dell'uomo in giacca e cravatta che cade e del muscoloso nuotatore. Questa lettura, che consente di datare ulteriormente l'opera al passaggio tra luglio e agosto del 1990, costituisce un ulteriore collegamento con la raccolta di novelle pubblicate da Apollinaire con il titolo “Il Poeta Assassinato". Dopo un’attenta meditazione sull’opera di Rabelais, Apollinaire dichiara di aver inventato un nuovo genere letterario, quello “lirico-satirico”. Il lungo racconto che apre e intitola la raccolta racconta la vita intera di Croniamantal, alter-ego di Apollinaire stesso. «E che vita! Una sarabanda ininterrotta di situazioni inverosimili, fiabesche ed esilaranti, trasposte con una cromaticità stilistica cangiante e multiforme (sembra quasi di ascoltare i Gong di “The Flying Teapot “); i riferimenti al contemporaneo vengono puntualmente deformati, rivestiti e trascesi da una massiccia dose di raccordi a miti, leggende e simboli che vengono svuotati dai loro abituali rimandi e che si piegano di continuo all’ilarità travolgente di Apollinaire» (the Cosmic Jocker, De Baser, 21 marzo 2017).

Stima 2 500 - 3 500 EUR

Lotto 281 - Luigi Serena (1855 - 1911) Luigi Serena (1855 - 1911) Signora con ventaglio, 1895-1900 Olio su tela 56,2 x 46,3 cm Firma: “LSerena” al recto Altre iscrizioni: a tergo della cornice, riferimenti ad un passaggio d'asta in gessetto bianco, scarsamente leggibili Elementi distintivi: al verso etichetta "I A library", con riguardo ad una precedente collocazione, ed etichetta con riferimento all’inventario della banca Provenienza: Galleria d'Arte Martinazzo, Montebelluna; Banca Popolare di Asolo e Montebelluna; Veneto Banca Holding; Veneto Banca SpA in LCA Bibliografia: O. Stefani, "Luigi Serena 1855-1911", Ponzano Veneto, 2006, p. 119, 147, tav. 111 Certificati: Fotocertificato di Ottorino Stefani del 2 aprile 1999 Stato di conservazione. Supporto: 85% (reintelo) Stato di conservazione. Superficie: 85% (cadute di colore e ritocchi, sparsi) Luigi Serena, pittore d'elezione della borghesia trevigiana a cavallo tra '800 e '900, non ebbe allievi diretti, ma fu ammirato dagli artisti più giovani per il suo spirito bohémien e antiborghese, anche quale riferimento morale, diventando una pietra miliare nell'orizzonte artistico della Marca. Saranno proprio gli artisti dell'avanguardia, in testa Arturo Martini, a promuovere la mostra postuma di Serena poco dopo la sua morte nel 1911. Pur operando prevalentemente in provincia, l'artista partecipò con successo alle più importanti esposizioni del tempo: a Venezia (1881), Milano (1883), Torino (1884), Firenze (1886), Parigi (1888) e Monaco (1890). Fu tra gli invitati alla Biennale veneziana del 1897 (Eugenio Manzato, "Treviso", in "La Pittura in Italia. L'Ottocento", Milano, 1990, p. 213). Come osserva Ottorino Stefani nella nota di certificazione, «il Ritratto di signora appartiene al periodo della piena maturità artistica di Luigi Serena (1895-1900), interprete acuto dei tratti psicologici e della personalità del soggetto che rivela un carattere deciso e volitivo. Sul piano strettamente pittorico l'opera si impone per la forza straordinaria dei colori: il rosa dell'incarnato, il bianco argentato ed il nero, esaltati dal ventaglio e dallo sfondo rosso che ricorda antichi dipinti pompeiani", in consonanza con le scelte cromatiche di Serena al termine del secolo, in particolare il rapporto tra bianco, grigio e nero (crf. "Donna che prega", 1897-1898, in Ottorino Stefani, a cura di, "Luigi Serena. 1855-1911", Ponzano Veneto, 2006, p. 99, tav. 70). A giudizio dello specialista, il dipinto - così vicino alla lezione di Pompeo Molmenti, esemplata nel "Ritratto di giovane signora" di Ca' Pesaro - è «uno dei punti più alti dell'intero percorso artistico del pittore montebellunese». E difatti, tra «i ritratti femminili, Signora con ventaglio appare come un omaggio alla grande ritrattistica della pittura veneta a partire dalle origini, soprattutto per l'audace impostazione compositiva e cromatica, che trova una sottile corrispondenza nell'espressione volitiva e narcisistica del volto. Qui veramente l'artista montebellunese si è dimostrato particolarmente attratto dal motivo ispiratore soprattutto come "sistema" di segni e colori che contengono un suggestivo messaggio estetico: siamo cioè nell'ambito di un'arte per cui la "forma" diventa "autosignificante" in quanto esalta i "valori decorativi" capaci di resistere nel tempo anche di fronte alle inevitabili svolte del gusto e delle mode predominanti di una determinata civiltà" (ibidem, p. 119).

Stima 3 000 - 5 000 EUR

Lotto 302 - Guido Reni (1575 - 1642) Guido Reni (1575 - 1642) San Francesco Olio su tela 183,2 x 136 cm Elementi distintivi: sul verso, etichetta recente, con riferimento all'opera Provenienza: Banca Popolare di Asolo e Montebelluna (dal 1993); Veneto Banca SpA in LCA Certificati: certificato di Paolo Viancini, s.d.; scheda critica di Daniele Benati, del 26 luglio 2021; scheda critica di Massimo Pulini, del 7 agosto 2021 Stato di conservazione. Supporto: 80% (reintelo) Stato di conservazione. Superficie: 75% (abrasioni, spuliture, integrazioni e ritocchi, anche sul viso del santo) Il dipinto è stato acquisito da Veneto Banca nel 1993 e da allora è stato conservato in caveau. Inedita, l'opera è stata oggetto di un'ampia indagine critica in sede di catalogazione, con un giudizio prevalentemente orientato nel riconoscervi un capolavoro di Guido Reni. Per Daniele Benati, che vi ha dedicato una approfondita scheda critica e intende presentare l'opera anche in sede scientifica, «Il bellissimo dipinto appartiene senza dubbio a Guido Reni, trovando immediato riscontro con altre sue opere già note non soltanto per il tipo di composizione, ma soprattutto per la suprema raffinatezza della conduzione pittorica, ineguagliata da nessuno dei suoi allievi, per quanto dotati.» Lo studioso data l'opera «agli inoltrati anni Trenta del XVII secolo» sia rapportandola al dipinto di analogo soggetto della Galleria Colonna e al Pallione della peste del 1631 (Bologna, Pinacoteca Nazionale) sia in ragione dello «addolcimento della stesura che Guido vi consegue, in ordine a quella progressiva “smaterializzazione” dell’immagine che anima tutta la sua feconda carriera», non mancando di segnalare che rispetto «alle versioni note, anche l’atteggiamento con cui il santo è raffigurato punta in direzione di una maggiore introspezione psicologica: il suo muto e addolorato colloquio con il Crocifisso è infatti cosa diversa dall’enfasi con cui, nei quadri dei Girolamini e del Louvre, egli rivolge impetuosamente lo sguardo al cielo portandosi la destra al petto. Da questo punto di vista, la soluzione proposta nel quadro in esame appare più convincente anche rispetto alla versione Colonna, addebitabile in parte agli aiuti, in cui il santo si torce le mani ripetendo alla lettera l’invenzione già utilizzata nel Pallione della peste, dove essa appariva però tanto più necessaria in relazione al tema proposto dal grande dipinto.». Sul piano virtuosistico, «Con un’economia di mezzi davvero impressionante, Reni riesce di fatto a condensare una quantità strabiliante di osservazioni naturalistiche e nello stesso tempo a proiettarle in una dimensione di perfezione ultraterrena: dai lucori degli occhi ai peli della barba sfiorata dalla luce che spiove dall’alto, dalla tessitura dell’umile saio alla superficie polita del teschio, dagli oggetti abbandonati in primo piano alla mirabile apertura di paesaggio, che sembra davvero disfarsi nella luce. Nel dipinto non c’è del resto alcuna pennellata “inutile”; e gli stessi “pentimenti” – nel dorso della mano destra, ad esempio, o nel profilo del teschio – vengono intenzionalmente lasciati a vista, per conferire alla pittura un effetto di maggiore vibrazione. Laddove la luce batte con maggiore insistenza, Guido ricorre poi a una sottile tessitura di pennellate parallele e come ravviate, così da produrre quell’effetto cristallino che gli è proprio e che i copisti cercano invano di imitare. Siamo cioè di fronte a un esito in cui Guido esplicita al grado più alto la propria propensione per un vero “ideale”, mirato ad estrarre dal dato di natura, indagato peraltro con indicibile sottigliezza, il suo valore eterno e metafisico». (... continua: scheda completa nel catalog pdf al link https://goforarts.com/doc/VB_IT_2_2/Meraviglie_Atto_II_HR.pdf . Il catalogo include anche lotti non disponibili sulle piattaforme on line, tra cui molti dei più prestigiosi).

Stima 100 000 - 150 000 EUR

Lotto 304 - Simone Cantarini (1612 - 1648) Simone Cantarini (1612 - 1648) San Gerolamo Olio su tela 158,1 x 120,6 cm Elementi distintivi: al verso, in gesso bianco, annotazione di passaggio d'asta («56 16 DEC 98»); inventario d'asta in stencil («RS380»); etichetta Christie's ed etichetta Gander & White per Panzironi, relativa ad un trasporto Provenienza: Christie's, Londra, 1998 Bibliografia: Andrea Emiliani, scheda 19, "Simone Cantarini (il Pesarese), San Girolamo", in Yadranka Bentini, a cura di, "Percorsi del barocco. Acquisti, doni e depositi alla Pinacoteca nazionale di Bologna 1990-1999", Bologna, 1999, pp. 64-65, ill.; Massimo Pulini, "Gianandrea Sirani, una storia da riscrivere. Il “recitar dipinto” di un maestro da rivalutare: Gianandrea Sirani pittore di recitativi e rifinitore di incompiuti reniani", AboutArt, Bologna, 2020 (www.aboutartonline.com/pulini/) Esposizioni: Pinacoteca Nazionale di Bologna (inv. 10018) Stato di conservazione. Supporto: 90% (rintelo) Stato di conservazione. Superficie: 90% (non visibili danni rilevanti; vernice protettiva sull'intera superficie) Prendendo le mosse dalla testimonianza del grande biografo degli artisti emiliani, il conte Carlo Cesare Malvasia (1616-1693), quasi coetaneo e amico di Cantarini - che ricorda «come Simone si educasse soprattutto sull'ammirazione giovanile di un grande dipinto d'altare», la Pala che la famiglia pesarese degli Olivieri aveva commissionato al Reni intorno al 1632-1634 e posto sull'altar maggiore della cattedrale», oggi alla Pinacoteca Vaticana, «Disegnandola perciò più volte, e dipingendola» e di cui l'opera in asta cita la figura di San Tommaso, e dal rapporto «con la splendida "Disputa degli Apostoli" che sta oggi a San Pietroburgo [...] in quei tempi a Mantova», databile intorno al 1625, Andrea Emiliani (1999), ritiene il dipinto in asta «tipico di Simone da Pesaro giunto da poco alle soglie di quello studio famoso che Guido teneva aperto proprio nel Palazzo dei banchi, affacciato su Piazza Maggiore e a ridosso della chiesa della Madonna della Vita». Acquistato a trattativa privata a Christie's nel 1998, dopo puntuale restituzione a Cantarini da parte di Denis Mahon, nel 1999 fu concesso in prestito di lungo termine dalla famiglia degli attuali proprietari alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, dove fu esposto fino al 2018 (inv. 10018), nella sala 26, dedicata al Classicismo, insieme ad altri capolavori di Cantarini come il "San Gerolamo che legge" (inv. 43, olio su tela, 117x88 cm, datato 1637-1639) e la pala con la "Madonna in gloria e i Santi Giovanni Evangelista, Eufemia e Nicola da Tolentino" (inv. 435, olio su tela, 244x140 cm, 1632-1634). Muovendo dal paragone con una tela in collezione privata raffigurante Sant'Andrea a mezzo busto, nella identica posizione, Massimo Pulini ha proposto di identificare nella tela un'opera incompiuta dell'ultimo Guido Reni, rifinita da Gianandrea Sirani: una lettura che conferma la stretta assonanza stilistica con la produzione matura ed ultima di Guido Reni. «L’Apostolo rivolge gli occhi al cielo, aderendo a una formula votiva che è reniana per eccellenza e tutta la testa, sofficemente spettinata e barbuta, dimostra di essere stata lavorata tanto da Guido quanto da Gianandrea, stessa cosa può dirsi per la mano che tiene segno infilando le dita tra le pagine di un libro. Medesima posa, sviluppata su figura intera, la ritroviamo in un dipinto già noto, ma finora assegnato a Simone Cantarini, proprio sulla spinta di quell’incompiutezza che domina l’opera e che fu caratteristica indipendente del Pesarese. Mi riferisco a un San Girolamo conservato alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, ed è proprio grazie al recente ritrovamento del Sant’Andrea che possiamo comprendere l’analoga duplicità di intervento, quasi un modus operandi di Sirani quando il suo pennello si innesta su un ‘primo movimento’ di Reni» (Pulini 2020). In effetti, la ripresa fotografica in ultravioletto, che rende anche più evidente il profilo della gamba nuda, sembra evidenziare un secondo livello di lavorazione del panneggio, che si poggia su una prima stesura più semplice e austera.

Stima 30 000 - 50 000 EUR

Lotto 312 - Federico Zandomeneghi (1841 - 1917) Federico Zandomeneghi (1841 - 1917) Al bagno Pastelli e carboncino su carta applicata su tela 55,1 x 46,1 cm Firma: al recto a pastello “Zandomeneghi” Elementi distintivi: sul retro del telaio etichetta della galleria d’arte Edmondo Sacerdoti (Milano) e seconda etichetta anonima con riferimento a Zandomeneghi e numeri di inventario e forse posizione; stampigliatura con numero “10”. Sul verso della tela lettera “P”. Provenienza: collezione privata, Parigi; collezione Luigi Bordoli, Milano; Galleria d’Arte Edmondo Sacerdoti, Milano; collezione privata, Milano; Porro & C. (Milano, 30.10.2007, lotto 73, € 28.000); collezione privata, Motta di Livenza; Veneto Banca SpA in LCA Bibliografia: Dipinti dell’Ottocento, catalogo della mostra, Milano, 1953, tav. 10 (ill.); Enrico Piceni, Zandomeneghi. Catalogo ragionato dell’opera, Milano, 1967, s. p. n. 56 (ill.); Enrico Piceni, Zandomeneghi, 1990 s. p. n. 56 (ill.); Fondazione Enrico Piceni, Federico Zandomeneghi. Catalogo Generale. Nuova edizione aggiornata e ampliata, Milano, 2006, p. 333, tav. 623 (ill.) Esposizioni: Dipinti dell’Ottocento, Galleria Carini, Milano ottobre 1953 Stato di conservazione. Supporto: 80% (rifodero, lacerazioni ricomposte; importanti danni alla cornice) Stato di conservazione. Superficie: 85% Figlio d’arte, il padre e il nonno erano scultori neoclassici, la formazione di Federico Zandomeneghi (Venezia 1841- Parigi 1917) avvenne tra la natia Venezia e Firenze, dove giunse nel 1862 e restò per cinque anni venendo a contatto con i Macchiaioli, e poi ancora a Roma prima di rientrare a Venezia. Partito improvvisamente l’1 giugno 1874 per Parigi non fece mai più ritorno in Italia. Nella capitale francese divenne assiduo del Caffè Nouvelle Athènes, locale frequentato dagli artisti più all’avanguardia, nonché del salotto di Giuseppe De Nittis. Strinse amicizia con Pisarro e Degas e conobbe Manet e il critico Louis Edmond Duranty, fino ad esporre nel 1879 per la prima volta con il gruppo degli impressionisti, mettendo a frutto quanto appreso negli anni delle ricerche macchiaiole e preservando così, come osservato da Francesca Dini (Per il centenario di Zandomeneghi (Venezia 1841 - Parigi 1917), in L’impressionismo di Zandomeneghi, Venezia 2016, pp. 23-35, p. 27), la propria identità linguistica pur nella programmatica adesione al movimento impressionista. La sua produzione conobbe un vertiginoso incremento dopo il 1894, quando si legò con il mercante Durand-Ruel. Temi predominanti per oltre un decennio sono le piazze parigine, scene di vita cittadina e soprattutto la figura femminile in interno o immersa nella natura come nel caso dell’opera in esame, realizzata a pastello, la tecnica attraverso cui l’artista dava forma alle immagini rese con il «rispetto per la forma, la nitida chiusura del contorno», che «rendono possibile quel tratto un po’ spezzato, divisionistico, della pennellata o del pastello e che sostituiscono al fluido scorrere della materia pittorica una più frizzante ricerca tonale», più vicina a Rosalba Carriera che a Degas, a Pietro Longhi che a Renoir, «alla classicità senza orpelli […] d’un Silvestro Lega o d’un Giovanni Fattori» (Enrico Piceni. Federico Zandomeneghi, in Fondazione Enrico Piceni, Federico Zandomeneghi. Catalogo generale. Nuova edizione aggiornata e ampliata, Milano, 2006, pp. 23-40, p. 29). Proprio un’eleganza settecentesca, a cui appare chiaramente ispirata la scelta della gamma cromatica giocata sui gialli e gli azzurri, traspira da questo elegante nudo femminile accovacciato accanto allo specchio d’acqua di una fontana immersa nel verde di un parco. I contorni delineati della figura e del bordo della fontana contrastano con la vegetazione e l’acqua resi con un segno divisionista, steso con meticolosa precisione in cui a linea parallela fa da contrappunto linea obliqua e a colori caldi fanno da contrappunto colori freddi. Teresa Sacchi Lodispoto

Stima 20 000 - 30 000 EUR

Lotto 326 - Domenico Maggiotto (1712 - 1794) Domenico Maggiotto (1712 - 1794) Madonna orante Olio su tela 54 x 51 cm Elementi distintivi: sul verso, etichetta di vendita della Casa d’Aste Semenzato, n. 461 Provenienza: Raccolta Italico Brass, Venezia; Sotheby's, Firenze, 18 dicembre 1976, l. 96 (come Cappella); Casa d’Aste Semenzato, Venezia (26-27.03.2011, l. 461, stima € 23.000-26.000); Veneto Banca SpA in LCA Bibliografia: A. Ravà, G. B. Piazzetta, Firenze, 1921, p. 60 e fig. 50 (Piazzetta); R. Pallucchini, L'arte di G. B. Piazzetta, Bologna, 1934, p. 112 (Piazzetta, con attribuzione incerta); U. Ruggeri, Francesco Cappella, Bergamo, 1977, p. 174 (attribuzione incerta); A. Mariuz, Piazzetta, Milano, 1982, pp. 127-128, A124 (come opera di scuola) Stato di conservazione. Supporto: 70% (reintelo) Stato di conservazione. Superficie: 80% (graffi, cadute di colore, riprese pittoriche) Nella sua monografia su Piazzetta del 1921, Aldo Ravà ha registrato la tela nella raccolta del rinomato pittore Italico Brass (1870-1943), insieme ad altri 5 dipinti e 15 disegni (pp. 60 e 71, tav. 50). Rodolfo Pallucchini, nella monografia dedicata a Piazzetta nel 1934 considera l'opera di attribuzione incerta (p. 112), così come Ruggeri nella sua monografia su Francesco Cappella (1977, p. 174, riferendo di non aver visto il dipinto dal vero) e A. Mariuz nel catalogo ragionato del 1982 (pp. 127-128, cat. A124). Nonostante alcune similitudini con Piazzetta (cfr per esempio la Vergine col Bambino Gesù già in collezione Viezzoli a Genova, in R. Pallucchini, Piazzetta, 1956, Milano, tav. 93; altra versione testimoniata dalla redazione a stampa di Giuseppe Baroni, in G.B. Piazzetta. Disegni - Incisioni - Libri - Manoscritti, con introduzione di W. Knox, Vicenza, 1983, cat. 120), questa giovane Madonna va ricondotta alla sua complessa scuola, ed in particolare a Francesco Maggiotto. Il merito della attribuzione va a Roldofo Pallucchini, che la propone in una perizia oggi perduta ma ricordata nel catalogo d'asta Semenzato (2011). La proposta è ritenuta pertinente da Giuseppe Pavanello (comunicazione del 25 novembre 2021) e da Marco Horak, che all'opera ha dedicato una importante scheda critica. Come sottolinea Horak «la formazione del Maggiotto avvenne nell’ambito della bottega di Giovanni Battista Piazzetta dove entrò giovanissimo, all’età di soli 10 anni, e dove si distinse come uno degli allievi dotati di maggior talento. È possibile disegnare la parabola artistica del Maggiotto suddividendola in tre diversi periodi che hanno contraddistinto la sua produzione: una prima lunga fase, fino al 1755, in cui le sue opere si basavano quasi completamente sui dettami stilistici del suo maestro Giovanni Battista Piazzetta, una seconda fase in cui Maggiotto si indirizzò verso soluzioni cromatiche molto più varie, ampliando il proprio bagaglio artistico in virtù delle esperienze che gli derivavano dall’avvicinamento a Giambattista Tiepolo (nell’ambito dell’Accademia veneziana di pittura e scultura, presieduta dal Tiepolo), infine il periodo della vecchiaia di Maggiotto, dopo il 1765, in cui il pittore si riavvicina ai modelli giovanili e quindi alle opere del suo maestro Giovanni Battista Piazzetta. Queste considerazioni ci spiegano le ragioni per cui la figura artistica del Maggiotto è stata relegata in passato al mero ruolo di promettente scolaro del Piazzetta e le sue opere frequentemente confuse con quelle del suo mentore. Solo in tempi relativamente recenti e a partire dall'esame di poche sue opere firmate, o comunque basate su fonti documentarie, si è giunti alla formulazione di un catalogo formato da una cinquantina di dipinti di autografia certa, la cui corretta attribuzione è stata pure corroborata dal confronto con incisioni di derivazione. Ed è stato proprio attraverso questo lavoro di ricerca e approfondimento che si è giunti, per merito del già citato Rodolfo Pallucchini, ad assegnare correttamente la pregevole Madonna in preghiera in esame alla mano di Domenico Fedeli detto il Maggiotto. L’opera, pienamente fedele al chiaroscuro piazzettesco dalle tonalità bruno-rossastre, è a mio parere collocabile entro il 1750 e si caratterizza per il rigore di un meccanismo compositivo essenziale, che tende ad enfatizzare l’atteggiamento di sereno misticismo della Vergine, in cui spicca una grande e raffinata delicatezza nelle forme, accompagnate dal già citato forte contrasto in chiaroscuro che, in virtù dell’orientamento della luce spiovente dall’alto conferisce risalto agli incarnati, nei quali si apprezzano le ombre e le morbide e delicate sfumature.». (... continua: scheda completa nel catalog pdf al link https://goforarts.com/doc/VB_IT_2_2/Meraviglie_Atto_II_HR.pdf . Il catalogo include anche lotti non disponibili sulle piattaforme on line, tra cui molti dei più prestigiosi).

Stima 2 500 - 3 500 EUR

Lotto 334 - Ludovico Carracci (1555 - 1619) , attribuito a Ludovico Carracci (1555 - 1619) , attribuito a Erminia e i pastori, 1592-1593 ca. Olio su tela 93,5 x 132,5 cm Elementi distintivi: al verso, inventario d'asta "RV551" in stencil Provenienza: Osuna Gallery, Washington; Christie's, 24 aprile 1998, l. 141 (Ludovico Carracci); collezione privata Bibliografia: D. Steven Pepper, "Ludovico Carracci: A new sequence of his works and additions to his catalogue", in «Accademia Clementina. Atti e memorie», Nuova serie, XXXIII-XXXIV, 1994, pp. 63-64, appendice II, tavola IV (pubblicazione revisionata da Andrea Emiliani e Denis Mahon) ("Ludovico Carracci"); Denis Mahon, "Quando conobbi Guercino", "Quadri & Sculture", Roma, gennaio-febbraio 1999, n. 4, anno VII, pp. 32-35, ill. ("Ludovico Carracci"); Carlo Giantomassi e Donatella Zari, "Tasso a colori. I dati del restauro di un capolavoro giovanile di Ludovico Carracci che rappresenta un episodio della Gerusalemme liberata", in Quadri e Sculture, anno IX, n. 37, Roma, 2001, pp. 34-37, ill (Ludovico Carracci); Alessandro Brogi, "Ludovico Carracci", 2 voll, Ozzano Emilia, 2001, R18, p. 256. Stato di conservazione. Supporto: 80% (rintelo, forse a seguito di uno o due sfondamenti risarciti) Stato di conservazione. Superficie: 70% (numerose cadute, svelature e ridipinture distribuite in particolare nella selva, ma anche sui personaggi) Il dipinto, in prestito alla Pinacoteca Nazionale di Bologna dal 1999 al 2014, rappresenta "Erminia tra i pastori", un tema caro a Ludovico Carracci, mutuato dal libro VII, ottave 1-22, della "Gerusalemme liberata" di Torquato Tasso. Dopo aver assistito al duello fra Tancredi e Argante dalle mura di Gerusalemme, la principessa Erminia, segretamente e infelicemente innamorata del guerriero cristiano, esce dalla città con indosso l'armatura di Clorinda, nel tentativo di recarsi al campo crociato per curare il suo amato, ma viene avvistata dalle sentinelle e messa in fuga, mentre Tancredi la insegue credendo che si tratti della donna da lui amata. Dopo una fuga precipitosa che ricorda in parte quella di Angelica nel "Furioso", Erminia raggiunge un villaggio abitato da pastori, uno spazio idilliaco, dove viene ospitata per qualche tempo nella speranza di dimenticare il suo amore infelice. La scena rappresentata da Carracci nella nostra tela è, in particolare, descritta, nelle ottave 6-8: Risorge, e là s'indirizza a passi lenti e vede un un uomo canuto a l'ombre amene tesser fiscelle a la sua greggia a canto ed ascoltar di tre fanciulli il canto. Vedendo quivi comparir repente l’insolite arme, sbigottír costoro; ma li saluta Erminia e dolcemente gli affida, e gli occhi scopre e i bei crin d’oro: «Seguite,» dice «aventurosa gente al Ciel diletta, il bel vostro lavoro, ché non portano già guerra quest’armi a l’opre vostre, a i vostri dolci carmi.» Soggiunse poscia: «O padre, or che d’intorno d’alto incendio di guerra arde il paese, come qui state in placido soggiorno senza temer le militari offese?» «Figlio,» ei rispose «d’ogni oltraggio e scorno la mia famiglia e la mia greggia illese sempre qui fur, né strepito di Marte ancor turbò questa remota parte. La versione in asta, pubblicata per la prima volta da Steven Pepper nel 1994, venne confermata autografa separatamente da Denis Mahon, Andrea Finaldi, Andrea Emiliani e Yadranka Bentini, con visione dal vero, nonostante lo stato conservativo apparentemente precario, mentre incontrò, nel 1998, il parere negativo di Babette Bohn, espresso sulla base dell'immagine pubblicata in Pepper 1994 (comunicazioni orali). Nel 1998-1999 è stata sottoposta ad un accurato intervento di restauro da parte di Carlo Giantomassi e Donatella Zari che è riuscito a restituire la magistrale qualità dell'anziano pastore. Nel restauro è inoltre emerso che il dipinto non è finito: «La stesura pittorica è particolarmente interessante perché si tratta di un dipinto non finito (... continua: scheda completa nel catalog pdf al link https://goforarts.com/doc/VB_IT_2_2/Meraviglie_Atto_II_HR.pdf . Il catalogo include anche lotti non disponibili sulle piattaforme on line, tra cui molti dei più prestigiosi).

Stima 30 000 - 50 000 EUR

Lotto 373 - Virgilio Guidi (1891 - 1984) Virgilio Guidi (1891 - 1984) Paesaggio veneto, 1927 circa (recto); Paesaggio, 1928 circa (verso) Olio su tavola 59,5 x 70 cm Firma: “V Guidi” e “Virgilio Guidi” al recto Elementi distintivi: sul telaio, etichetta stampata con nome, titolo “Paesaggio veneto”, tecnica, misure e anno 1932; sul verso della cornice, etichetta con numero 28540 Provenienza: collezione A. Giovanardi, Milano; Rigato Arte, Conegliano; collezione privata, Veneto, (fino al 2011); Veneto Banca SpA in LCA Bibliografia: 300 Dipinti e disegni di Maestri contemporanei, Milano, 1962, ripr. n. 21; Giovanni Granzotto, Alessandro Rosa, De Chirico - Guidi. Due idee della metafisica, Sacile, Studio D'Arte G.R., 14 marzo - 18 aprile 1992, ripr. p. 55 n. 33; Franca Bizzotto, Dino Marangon, Toni Toniato, Virgilio Guidi. Catalogo generale dei dipinti. Volume primo, Milano, 1998, p. 83 n. 1918 4, p. 142 n. 1927 67 Esposizioni: 300 Dipinti e disegni di Maestri contemporanei, Milano, Galleria Brera, 19-30 maggio 1962; De Chirico - Guidi. Due idee della metafisica, Sacile, Studio d'arte G.R., 14 marzo - 18 aprile 1992 Stato di conservazione. Supporto: 95% (segni di chiodi lungo il bordo) Stato di conservazione. Superficie: 95% Il 25 aprile 1927 Virgilio Guidi si trasferisce da Roma a Venezia, dove viene chiamato per chiara fama a ricoprire la cattedra di pittura che era stata di Ettore Tito. Nella città lagunare, in cui non aveva mai dipinto fino a quel momento, l'artista approfondisce le sue ricerche sulla luce, centrali sin dai suoi esordi. Già nei paesaggi realizzati negli anni romani Guidi era stato mosso dall'esigenza di cogliere, nell'osservazione en plein air, una luce zenitale, unitaria e totalizzante, capace di dare unità a tutti gli elementi della composizione. Si trattava di una ricerca che, partita dalla riflessione sull'unità di forma-colore presente in maniere diverse in Cézanne e Matisse, si era andata poi nutrendo di stimoli quattrocenteschi e segnatamente pierfrancescani. L'opera appartiene al nutrito gruppo di paesaggi realizzati lungo la strada verso Stra datati nel catalogo generale al 1927 (Bizzotto, Marangon, Toniato, 1988, pp. 137-142, nn. 1927 53 – 1927 68). Proprio nella cittadina di Stra l'artista nel 1929 darà vita, in polemica con l'Accademia, con la quale i rapporti furono spesso critici, a una scuola del paesaggio occupando con i suoi allievi per un breve periodo la villa Pisani. Rispetto ai paesaggi romani, caratterizzati da una volumetria semplice e solida, i paesaggi veneti – sia quelli lagunari, sia quelli dell'entroterra – complice certamente il contatto con la luce locale, rarefatta e trasparente, sono caratterizzati da una pennellata più mossa che tende a sfaldare la consistenza formale per far emergere la vibrazione luminosa. Una luce che, come in quest'opera, appare tutta intrinseca alla materia pittorica, alleggerendo i semplici volumi delle case e conferendo una consistenza soffice al cielo e alle fronde degli alberi. Un'esperienza, quella della luce veneta, che condurrà Guidi negli anni verso una progressiva sintesi astrattiva in cui il paesaggio tenderà sempre più a divenire lirica apparizione. Sul verso il dipinto mostra un abbozzo di paesaggio con fiume e case e, sul telaio, un’etichetta stampata che reca il titolo “Paesaggio veneto” e la data 1932; si tratta in realtà di una pittura ascrivibile con molta probabilità al 1928, anno in cui Guidi realizza simili vedute lungo la riva del Brenta (Bizzotto, Marangon, Toniato, 1988, p. 161 n. 1928 29 – p. 166 n. 1928 41). Sabrina Spinazzè Ringraziamo Toni Toniato per il supporto dato alla catalogazione dell'opera.

Stima 8 000 - 12 000 EUR