Giuseppe Ponga (attr.)
Chioggia 1856 - Venezia 1925
Capricci veneziani
coppia di…
Descrizione

Giuseppe Ponga (attr.) Chioggia 1856 - Venezia 1925 Capricci veneziani coppia di oli su tela, cm. 38x48

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Giuseppe Ponga (attr.) Chioggia 1856 - Venezia 1925 Capricci veneziani coppia di oli su tela, cm. 38x48

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Coppia di poltrone; attribuite a VALENTINO (Astragal, Italia, 1829-, Venezia, 1902); Venezia, 1880 circa. Noce e pelle parzialmente dorata. Presentano stoppa all'interno. La pelle originale è stata conservata e una delle modanature del montante anteriore è mancante. Misure: 78 x 57 x 57 cm (x2). Coppia di poltrone in legno di noce modellato e intagliato. Entrambe hanno lo stesso disegno dello schienale curvo traforato, decorato con animali fantastici appoggiati l'uno sull'altro. La parte superiore dello schienale è decorata in alto rilievo con una maschera. Le gambe sono a balaustro e presentano dettagli vegetali sulle ginocchia. Lo stile di questa coppia di sedie ricorda molto le opere di Valentino Besarel, infatti nel libro "Valentino Panciera Besarel (1829-1902) Storia e arte di una bottega d'intaglio in Veneto" si può vedere un frontale di camino molto simile realizzato in marmo. "Besarel" è un soprannome di origine popolare utilizzato per distinguere la famiglia dell'artista da altre stirpi omonime, ma è arrivato a dominare anche il cognome, al punto che anche nel mondo artistico è conosciuto semplicemente come "Valentino Besarel". L'ultima rappresentante dei "Besarel" Panciera fu la figlia di Valentino, Caterina, morta nel 1947. La famiglia Besarel si occupava di scultura lignea da generazioni: il bisnonno Valentino (1747-1811), allievo di Giampaolo Gamba "Zampòl" e discepolo del maestro Andrea Brustolon, il nonno Giovanni (1778-1842) e anche il padre Giovanni Battista (1801-1873) erano stati intagliatori; quest'ultimo aveva raggiunto una certa notorietà locale lasciando opere in diverse chiese dello Zoldano. Valentino ricevette la sua prima formazione nella bottega paterna, a cui si aggiunse, all'inizio degli anni Quaranta del XIX secolo, la scuola del disegnatore bellunese Antonio. La svolta avviene con l'incontro con Giuseppe Segusini, che lo vede all'opera mentre, seguendo il padre, decora la chiesa arcidiaconale di Agordo. Grazie all'architetto feltrino poté frequentare l'Accademia di Venezia dal 1853 al 1855, pur non riuscendo a completare gli studi. Le sue prime opere indipendenti, sempre su commissione di Segusini, sono i Santi Pietro e Paolo per l'altare maggiore della chiesa parrocchiale di Tiser e i Quattro Evangelisti per il duomo di Belluno (1855-1856). Besarel lavorò a lungo in patria, finché negli anni Sessanta si trasferì a Venezia, dove ricevette grandi onori e fama europea, al punto da diventare fornitore ufficiale delle principali monarchie del continente. Nemmeno l'invalidità subita con la perdita di quattro dita riuscì a interrompere l'attività di Valentino. Hanno stoppa all'interno. La pelle originale è conservata e manca una delle modanature dei montanti anteriori.

Fronte del camino; attribuito a VALENTINO BESAREL (Astragal, Italia, 1829-, Venezia, 1902); Venezia, 1880 circa. Noce intagliato. Presenta un'usura sulla base. Provenienza: Palazzo dei Marchesi di Unza. Misure: 259 x 204 x 44 cm. Fronte del camino in noce intagliato. Il pezzo, che si distingue per le sue dimensioni monumentali, poggia su una base i cui pilastri assumono la forma realistica di Atlante. Sopra di esse, una delicata cornice mostra un ornamento dettagliato a base di foglie d'acanto intagliate, accompagnate da passeri di estrema leggerezza formale e, al centro, da un volto femminile di cavalli in fuga. Questo fregio orizzontale lascia il posto a una trabeazione a cornice ispirata all'architettura classica. Sopra di essa, un grande stemma presenta in rilievo una scena di ispirazione mitologica che sembra rappresentare Venere ed Efesto nell'officina di quest'ultimo, incorniciata da una grande ghirlanda. Questo dettaglio è accompagnato da un gruppo scultoreo rotondo con due uccellini innamorati sulla sommità e una figura maschile e una femminile che si affiancano ai lati. La qualità tecnica dell'intaglio di questo grande paliotto da camino fa pensare che si tratti di un'opera di Valentino Besarel. Infatti, nel libro "Valentino Panciera Besarel (1829-1902) Storia e arte di una bottega d'intaglio in Veneto" si può vedere un paliotto molto simile realizzato in marmo. "Besarel" è un soprannome di origine popolare utilizzato per distinguere la famiglia dell'artista da altre stirpi omonime, ma è arrivato a dominare anche il cognome, al punto che anche nel mondo artistico è conosciuto semplicemente come "Valentino Besarel". L'ultima rappresentante dei "Besarel" Panciera fu la figlia di Valentino, Caterina, morta nel 1947. La famiglia Besarel si occupava di scultura lignea da generazioni: il bisnonno Valentino (1747-1811), allievo di Giampaolo Gamba "Zampòl" e discepolo del maestro Andrea Brustolon, il nonno Giovanni (1778-1842) e anche il padre Giovanni Battista (1801-1873) erano stati intagliatori; quest'ultimo aveva raggiunto una certa notorietà locale lasciando opere in diverse chiese dello Zoldano. Valentino ricevette la sua prima formazione nella bottega paterna, a cui si aggiunse, all'inizio degli anni Quaranta del XIX secolo, la scuola del disegnatore bellunese Antonio. La svolta avviene con l'incontro con Giuseppe Segusini, che lo vede all'opera mentre, seguendo il padre, decora la chiesa arcidiaconale di Agordo. Grazie all'architetto feltrino poté frequentare l'Accademia di Venezia dal 1853 al 1855, pur non riuscendo a completare gli studi. Le sue prime opere indipendenti, sempre su commissione di Segusini, sono i Santi Pietro e Paolo per l'altare maggiore della chiesa parrocchiale di Tiser e i Quattro Evangelisti per il duomo di Belluno (1855-1856). Besarel lavorò a lungo in patria, finché negli anni Sessanta si trasferì a Venezia, dove ricevette grandi onori e fama europea, al punto da diventare fornitore ufficiale delle principali monarchie del continente. Nemmeno l'invalidità subita con la perdita di quattro dita riuscì a interrompere l'attività di Valentino. Presenta usura alla base.

Scuola veneziana; XVI secolo. "San Pietro e Paolo". Base in bronzo e marmo. Misure: 17,5 x 5 cm; 18 x 8 x 4,5 cm; 7 x 6,5 x 6,5 x 6,5 cm (basi, x2). Coppia di sculture realizzate in bronzo dorato, ad eccezione del nimbo sacro. Esteticamente le due figure mostrano una grande qualità nella modellazione delle forme allungate e delicate a cui si aggiunge la grande leggerezza data dal movimento del panneggio e delle sue pieghe. Entrambe le figure hanno un tema religioso in quanto rappresentano San Pietro, con le chiavi in mano, e San Paolo con i suoi soliti attributi. È evidente l'influenza del neoclassicismo in queste sculture, non solo per la modellazione di entrambi i pezzi che mostra una perfetta conoscenza dell'anatomia classica, ma anche per la posa elegante adottata dalle figure, che si distinguono per la loro grande stilizzazione. Si tratta di pezzi di eccezionale qualità, che ricordano in gran parte una figura di San Filippo attribuita alla cerchia artistica del Sansovino e presente nel catalogo del Museo di Cleveland. Questo tipo di pezzi sono stati lavorati in modo meticoloso e squisito, prestando molta attenzione ai dettagli, come si può vedere nel trattamento degli abiti e dei tratti del viso che in entrambi i casi sono completamente individualizzati. Esteticamente questa coppia è legata alla scuola veneziana, che viene descritta grazie all'eleganza e all'opulenza. Caratteristiche di una città in piena espansione, con un grande commercio legato a una posizione geografica strategica, porta d'Oriente. Venezia divenne una scuola che approfondì le tradizioni occidentali e orientali, dando vita a un'estetica vaporosa mostrata da un punto di vista magnifico.

GIROLAMO FORABOSCO (Venezia, 1605 - Padova, 1679). "Giuseppe e la moglie di Potifar". Olio su tela. -Bibliografia: Girolamo Forabosco. Chiara Marin. Venezia Barocca. Edizioni Close. Pagina 457. Fig. 98 (cat. 69). Misure: 105 x 135 cm. In questo magnifico dipinto viene narrato l'episodio biblico del tentativo della moglie di Potifar di sedurre Giuseppe. Questi cerca di fuggire dall'abbraccio della bella giovane donna, la cui nudità rivela un corpo agile e snello. Giuseppe, vestito con tunica e mantello, cerca di non guardarla, adottando un gesto di rifiuto. L'insinuazione sensuale e la franca nudità di lei contrastano con il suo doppio strato di abiti e di pudore. Si tratta di un tema molto trattato fin dal Rinascimento e l'artista ne raccoglie l'eredità entrando in un proficuo dialogo con la tradizione, come è consuetudine nelle sue migliori composizioni. Nei toni della carne accesi dalla passione, nei gesti istrionici e nelle finiture satinate delle vesti, il pittore riesce a far rivivere la sensualità della scuola veneziana, infondendole un'impronta romantica. Potifar, alto funzionario della corte del Faraone, aveva acquistato Giuseppe, venduto come schiavo. Dopo che la sua diligenza, Potifar, nominò Giuseppe capo della casa, fu in quel momento che la moglie di Potifar iniziò a notare Giuseppe, cercando di sedurlo. Approfittando di un'occasione in cui nella casa non c'era nessuno degli uomini a capo, la donna si insinuò in Giuseppe, che fuggì. Tuttavia, al ritorno di Potifar, la donna accusò Giuseppe di tentato stupro, per cui Giuseppe fu mandato in prigione. Girolamo Forabosco o Gerolamo Ferrabosco è stato un pittore barocco veneziano del XVII secolo, attivo a Padova e a Venezia tra il 1636 e il 1644. Dopo aver studiato a Venezia con Alessandro Varotari (il Padovanino), Girolamo Forabosco fu influenzato artisticamente da Bernardo Strozzi. Fu ammesso alla Fraglia dei Pittori tra il 1634 e il 1639 e fu membro pagante dal 1640 al 1644. Adottò lo stile compositivo e i soggetti di Tiberio Tinelli. Nel 1653 ha uno studio a Padova, ma l'anno successivo è di nuovo a Venezia, dove dipinge una pala d'altare per il patriarca Federico Cornaro, morto nel 1654, e un Ritratto di Carlo Contarini, doge. Nel corso della sua carriera realizzò un numero relativamente ridotto di opere, soprattutto ritratti, genere che gli assicurò la fama, recuperando modelli di composizioni cinquecentesche e ravvivandole attraverso un uso più vivace del colore. -Bibliografia: Girolamo Forabosco. Chiara Marin. Venezia Barocca. Cierre Edizioni. Pagina 457. Fig. 98 (cat. 69).