Null MARCANTONIO BASSETTI
(Verona, 1586 - 1630)
Ritratto d'uomo
Olio su tela, cm…
Descrizione

MARCANTONIO BASSETTI (Verona, 1586 - 1630) Ritratto d'uomo Olio su tela, cm 60X46 Provenienza: Vienna, Dorotheum, 10 novembre 2020, lotto 189 (come Marcantonio Bassetti) Allievo del Brusasorci, Bassetti si recò prima a Venezia dedicandosi allo studio dei maestri cinquecenteschi e nel 1616 si trasferirà a Roma, forse in compagnia di Pasquale Ottino e Alessandro Turchi. Il soggiorno nella Città Eterna lo indusse, pur non smarrendo la sua indole veneta, ad accostarsi ai pittori naturalisti specie a Orazio Borgianni, che trasformava il caravaggismo in una grassa pittura di tocco e quindi a esprimere risultati affini a quelli di Giovanni Serodine e Carlo Saraceni, ottenendo impasti grumosi e una pennellata più ruvida, ma al contempo liquida e scorrevole, con esiti quanto mai prossimi a quelli del Fetti. Questi aspetti, di conseguenza, suggerirebbero una esecuzione al primo momento capitolino, ragionando sul fatto che il Fetti si trovava a Mantova dal 1611. L'opera, infatti, rivela una presa della realtà i cui echi lombardo-veneti vanno modulandosi su sentimenti rubensiani e romani con sprezzature che ricordano la ritrattistica carraccesca. L'esito, come vediamo, esibisce una immediatezza espressiva sorprendente, tipica delle opere fatte 'davanti al naturale', con l'intento di cogliere senza mediazioni intellettualistiche o belletti l'uomo. Appare quindi chiaro che questa tipologia di ritratti sarà di esempio per le spontanee effigi berniniane. Bibliografia di riferimento: L. Magagnato, Cinquant'anni di pittura veronese 1580-1630, catalogo della mostra, Verona 1974, ad vocem R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Milano 1981, II, p. 124

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MARCANTONIO BASSETTI (Verona, 1586 - 1630) Ritratto d'uomo Olio su tela, cm 60X46 Provenienza: Vienna, Dorotheum, 10 novembre 2020, lotto 189 (come Marcantonio Bassetti) Allievo del Brusasorci, Bassetti si recò prima a Venezia dedicandosi allo studio dei maestri cinquecenteschi e nel 1616 si trasferirà a Roma, forse in compagnia di Pasquale Ottino e Alessandro Turchi. Il soggiorno nella Città Eterna lo indusse, pur non smarrendo la sua indole veneta, ad accostarsi ai pittori naturalisti specie a Orazio Borgianni, che trasformava il caravaggismo in una grassa pittura di tocco e quindi a esprimere risultati affini a quelli di Giovanni Serodine e Carlo Saraceni, ottenendo impasti grumosi e una pennellata più ruvida, ma al contempo liquida e scorrevole, con esiti quanto mai prossimi a quelli del Fetti. Questi aspetti, di conseguenza, suggerirebbero una esecuzione al primo momento capitolino, ragionando sul fatto che il Fetti si trovava a Mantova dal 1611. L'opera, infatti, rivela una presa della realtà i cui echi lombardo-veneti vanno modulandosi su sentimenti rubensiani e romani con sprezzature che ricordano la ritrattistica carraccesca. L'esito, come vediamo, esibisce una immediatezza espressiva sorprendente, tipica delle opere fatte 'davanti al naturale', con l'intento di cogliere senza mediazioni intellettualistiche o belletti l'uomo. Appare quindi chiaro che questa tipologia di ritratti sarà di esempio per le spontanee effigi berniniane. Bibliografia di riferimento: L. Magagnato, Cinquant'anni di pittura veronese 1580-1630, catalogo della mostra, Verona 1974, ad vocem R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Milano 1981, II, p. 124

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