Descrizione
ALBERTO GIACOMETTI (1901-1966) Alberi a Stampa, 1953 Matita di grafite rielaborata con gomma abrasiva su carta intelata Firmato e datato "1953" in basso a destra 48,5 x 34 cm - 19 1/8 x 13 3/8 in. (Lentiggini) Il Comitato Giacometti ha confermato l'autenticità di quest'opera, che è elencata nel Database Alberto Giacometti (AGD) al n. 4627. PROVENIENZA - Galerie Maeght, Parigi - Collezione privata, Francia (acquisita da quest'ultima) - Acquistato da quest'ultimo "Il primo disegno che ricordo non era affatto dal vero, era l'illustrazione di una storia. Biancaneve in una piccola bara, con i nani. Da bambino ero più interessato a illustrare storie. Poi, molto presto, ho iniziato a disegnare dal vero e avevo l'impressione di avere il controllo della situazione e di poter fare esattamente quello che volevo. Ero pretenzioso come un bambino di dieci anni... Mi ammiravo, avevo l'impressione di poter fare qualsiasi cosa con questo mezzo meraviglioso: il disegno; di poter disegnare qualsiasi cosa, di poter vedere chiaramente come nessun altro. E ho iniziato a scolpire a 14 anni, un piccolo busto. E anche questo ha funzionato! Avevo l'impressione che non ci fossero difficoltà tra la mia visione e la possibilità di realizzare qualcosa. Avevo il controllo della mia visione, era un paradiso, e questo è durato fino a circa 18 o 19 anni, quando ho avuto l'impressione di non riuscire a fare nulla! La situazione è andata via via peggiorando... La realtà mi sfuggiva di mano. Mi sembrava di vedere le cose molto chiaramente, una sorta di intimità con tutto, con l'universo... E poi, all'improvviso, tutto diventa estraneo. Tu sei tu e fuori c'è l'universo, che diventa esattamente oscuro. Stavo cercando di fare il mio ritratto dal vero, ed ero consapevole che quello che vedevo era totalmente impossibile da mettere su tela. La linea - me la ricordo molto bene - che va dall'orecchio al mento, mi sono reso conto che non sarei mai stato in grado di copiarla così come l'avevo vista, che era, per me, un'impossibilità assoluta. Era assurdo cercare di copiarla, e sarebbe stata la fine di ogni possibilità di copiare ciò che vedevo, anche in modo molto elementare... Così ho rinunciato alla pittura dal vero e anche alla scultura. "Ma longue marche", Intervista di Alberto Giacometti a Pierre Schneider, in. L'Express, 8 giugno 1961 "Alberto Giacometti ha dedicato gli ultimi trent'anni della sua vita a un unico compito: copiare ciò che vedeva. In altre parole, infondere nell'opera una certa somiglianza con il modello, in modo che, pur appartenendo a due universi estranei l'uno all'altro, essi appaiano correlati. La "somiglianza" getta un ponte tra l'arte, prodotto di un'interiorità, e la realtà esterna. Grazie ad essa, per quanto grande sia l'abisso che le separa, esse comunicano, si rispondono, hanno qualcosa in comune". Pierre Schneider, 1985
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ALBERTO GIACOMETTI (1901-1966) Alberi a Stampa, 1953 Matita di grafite rielaborata con gomma abrasiva su carta intelata Firmato e datato "1953" in basso a destra 48,5 x 34 cm - 19 1/8 x 13 3/8 in. (Lentiggini) Il Comitato Giacometti ha confermato l'autenticità di quest'opera, che è elencata nel Database Alberto Giacometti (AGD) al n. 4627. PROVENIENZA - Galerie Maeght, Parigi - Collezione privata, Francia (acquisita da quest'ultima) - Acquistato da quest'ultimo "Il primo disegno che ricordo non era affatto dal vero, era l'illustrazione di una storia. Biancaneve in una piccola bara, con i nani. Da bambino ero più interessato a illustrare storie. Poi, molto presto, ho iniziato a disegnare dal vero e avevo l'impressione di avere il controllo della situazione e di poter fare esattamente quello che volevo. Ero pretenzioso come un bambino di dieci anni... Mi ammiravo, avevo l'impressione di poter fare qualsiasi cosa con questo mezzo meraviglioso: il disegno; di poter disegnare qualsiasi cosa, di poter vedere chiaramente come nessun altro. E ho iniziato a scolpire a 14 anni, un piccolo busto. E anche questo ha funzionato! Avevo l'impressione che non ci fossero difficoltà tra la mia visione e la possibilità di realizzare qualcosa. Avevo il controllo della mia visione, era un paradiso, e questo è durato fino a circa 18 o 19 anni, quando ho avuto l'impressione di non riuscire a fare nulla! La situazione è andata via via peggiorando... La realtà mi sfuggiva di mano. Mi sembrava di vedere le cose molto chiaramente, una sorta di intimità con tutto, con l'universo... E poi, all'improvviso, tutto diventa estraneo. Tu sei tu e fuori c'è l'universo, che diventa esattamente oscuro. Stavo cercando di fare il mio ritratto dal vero, ed ero consapevole che quello che vedevo era totalmente impossibile da mettere su tela. La linea - me la ricordo molto bene - che va dall'orecchio al mento, mi sono reso conto che non sarei mai stato in grado di copiarla così come l'avevo vista, che era, per me, un'impossibilità assoluta. Era assurdo cercare di copiarla, e sarebbe stata la fine di ogni possibilità di copiare ciò che vedevo, anche in modo molto elementare... Così ho rinunciato alla pittura dal vero e anche alla scultura. "Ma longue marche", Intervista di Alberto Giacometti a Pierre Schneider, in. L'Express, 8 giugno 1961 "Alberto Giacometti ha dedicato gli ultimi trent'anni della sua vita a un unico compito: copiare ciò che vedeva. In altre parole, infondere nell'opera una certa somiglianza con il modello, in modo che, pur appartenendo a due universi estranei l'uno all'altro, essi appaiano correlati. La "somiglianza" getta un ponte tra l'arte, prodotto di un'interiorità, e la realtà esterna. Grazie ad essa, per quanto grande sia l'abisso che le separa, esse comunicano, si rispondono, hanno qualcosa in comune". Pierre Schneider, 1985
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