GIUSEPPE BARTOLOMEO CHIARI LUCCA OU ROME, 1654 - 1727, ROME Alfeo e Aretusa 
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Descrizione

GIUSEPPE BARTOLOMEO CHIARI LUCCA OU ROME, 1654 - 1727, ROME

Alfeo e Aretusa 1670-1690 circa Olio su tela (ovale) 132 x 91 cm Secondo le Metamorfosi di Ovidio, la bella ninfa Aretusa fu sorpresa e inseguita dal dio fluviale Alpheus mentre faceva il bagno in un ruscello limpido. Diana allora prese La dea della caccia, tuttavia, cedette all'insistenza di Alfeo e trasformò la ninfa in una sorgente che sgorgava nel sottosuolo e affiorava a Ortigia, una piccola isola che oggi è il centro storico della città di Siracusa, in Sicilia. Nato a Roma, Giuseppe Bartolomeo Chiari fu uno dei principali allievi di Carlo Maratta (1625-1713), entrando nella sua bottega nel 1666 all'età di dodici anni. Chiari si formò nell'ambiente classicista, diventando uno dei principali rappresentanti dell'Accademia romana. Grazie alla protezione del maestro, di cui fu presto considerato il successore ufficiale, ricevette diverse importanti commissioni. Il suo repertorio figurativo incarna gli ideali della cultura classicista ufficiale della Roma a cavallo tra XVI e XVI secolo e fonde i vari tratti stilistici ereditati da Guido Reni (1575 - 1642), Carlo Maratta, Pietro da Cortona (1596 - 1669), i Carracci e Correggio (1489 - 1534). Affermatosi a pieno titolo dal 1685 e membro dell'Accademia di San Luca nel 1697, riproduce nella sua pittura i modi del maestro, attenuando però la magniloquenza ufficiale a favore di toni più intimi, soprattutto nelle opere più piccole. Segna così il punto di passaggio dal gusto del tardo barocco al nascente rococò. Nel 1686 realizzò la sua prima commissione pubblica di affreschi per la Nascita della Vergine e l'Adorazione dei Magi. e l'Adorazione dei Magi per la Cappella Marchionni in Santa Maria del Suffragio. Negli anni successivi, l'artista ricevette commissioni da molti grandi mecenati romani dell'epoca, tra cui le famiglie Barberini e Colonna e Papa Clemente XI, per il quale eseguì un San Clemente in gloria per l'omonima chiesa. Come erede di Maratta, il successo di Chiari non si limitò alla sua città natale. Le sue opere furono particolarmente apprezzate da alcuni importanti collezionisti inglesi dell'epoca, tra cui Richard Boyle, III conte di Burlington, noto come "Architect Earl", e John, V conte di Exeter, che acquistò non meno di quattro opere dell'artista per la sua collezione a Burghley House. Chiari fu direttore dell'Accademia di San Luca tra il 1723 e il 1725 e annoverò tra i suoi studenti l'architetto inglese William Kent. Il dipinto inedito di Alfeo e Aretusa si aggiunge all'opera di Giuseppe Chiari e appare come una sorta di testimonianza della collaborazione con il suo maestro, Carlo Maratta. Il formato ovale e le sue dimensioni sono ricorrenti nell'opera di Chiari. Il tema non è estraneo a Maratta, che lo dipinse più volte tra il 1650 e il 1670, e Chiari ne fu indubbiamente non solo testimone ma anche collaboratore, visto che Maratta stava emergendo a Roma come uno degli artisti più promettenti. L'opera è di particolare interesse in quanto sembra essere una prima esecuzione in sembra essere una prima esecuzione nell'elaborazione di una nuova composizione. Almeno quattro importanti rientranze sono evidenziate e ben visibili sulla fotografia all'infrarosso (fig. 1): una prima e più importante che parte dall'esterno destro del ventre e segue tutta la lunghezza della gamba destra di Aretusa per terminare sulla punta delle dita del piede, una seconda lungo tutta la gamba sinistra, una terza sullo stinco e fino alla punta delle dita del piede della gamba sinistra di Alfeo, una quarta come le precedenti sul piede destro della gamba destra di Alfeo, una terza sul lato sinistro del corpo e una quarta sul lato destro del corpo. Un quarto, come i precedenti, sul piede destro di Alpheus, e infine uno più discreto visibile sul contorno del volto di Diana. Dopo un primo schizzo, l'artista avrebbe spostato tutti gli arti a sinistra della composizione. Il confronto tra il nostro dipinto e il disegno di Maratta (fig. 2) conservato presso il Courtauld Institute (Figura femminile panneggiata, 20,5 x 13,5 cm, D.1972.WF.4764) è un elemento importante per lo studio di questa composizione: in questo disegno è presente un segno sul tallone del piede della gamba sinistra della modella, e un altro sullo stinco della stessa gamba e nella stessa posizione di quello della gamba sinistra di Aretusa, come descritto in precedenza nel nostro dipinto. Queste caratteristiche, tipiche di un artista allora in fase di ricerca compositiva, suggeriscono che il disegno del Courtauld Institute e il nostro dipinto sono stati eseguiti in un periodo simile, ma anche che esiste una vera e propria discussione sull'attribuzione del dipinto, che dovrebbe comunque ragionevolmente essere dato a Chiari. Un altro disegno di Maratta da confrontare con il nostro dipinto è citato da Jean-Claude Boyer, attualmente di proprietà di una collezione privata di Parigi, ma di cui non disponiamo di una fotografia. Vale la pena di segnalare l'interessante confronto tra la nostra opera e il dipinto di Maratta raffigurante Alpheus e Aretusa, realizzato intorno al 1650

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