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Giovanni della Robbia (Firenze 1469 - 1529/1530) SAN GIOVANNI BATTISTA FANCIULLO NEL DESERTO, 1520 CIRCA statuetta ambientata in terracotta parzialmente invetriata policroma, cm 22,5x25x8,5; su base in legno rivestita in velluto, cm 5,5x26x11   YOUNG SAINT JOHN THE BAPTIST IN THE DESERT, CIRCA 1520   Questo piccolo, delizioso gruppo fittile - dove le tonalità calde dell’argilla si accostano a una vivida invetriatura policroma, secondo un’efficace attitudine naturalistica ricorrente nella produzione robbiana di primo Cinquecento -, raffigura, con delicata tenerezza e un’incantevole fantasia fiabesca, il Battista fanciullo, riconoscibile per la rustica tunica “di pelle di cammello” impreziosita dal manto azzurro e per il consueto cartiglio con l’iscrizione profetica «ECCE AGNUS», durante il suo primo giovanile eremitaggio nei “deserti” della Giudea, seduto in preghiera su di una muschiosa balza di roccia da cui sgorga una limpida sorgente, che evoca le acque del Giordano e la purificazione rigeneratrice del battesimo, sotto lo sguardo incuriosito di un coniglietto candido e di un mansueto cerbiatto. Presenze gentili e accattivanti cui pure dobbiamo attribuire un’analoga valenza simbolica, così come l’ascia confitta nella radice dell’albero richiama le veementi parole del Precursore ricordate nei Vangeli (“La scure sta già sulla radice degli alberi perciò ogni albero che non porta buon frutto verrà tagliato e gettato nel fuoco”: Matteo 3.10 e Luca 3.9; cfr. Dalli Regoli 1994). D’altra parte questa singolare, affabile interpretazione iconografica dell’infanzia di San Giovanni Battista appare desunta in modo assai puntuale da un popolare testo agiografico trecentesco, il Volgarizzamento delle Vite de’ SS. Padri, riferito al domenicano pisano fra Domenico Cavalca e rimesso in auge sulla metà del Quattrocento da Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico, con esiti significativi nell’arte del tempo, ove lo si immagina già votato intorno ai cinque anni alle privazioni della vita eremitica, durante la quale avrebbe riconosciuto la divina bellezza del Creato nei piccoli abitanti dei boschi che lo allietavano come animali domestici (“incominciò a trovare di quelle bestiuole piccole, che stavano per lo bosco… e dimesticavasi con loro e diceva: Queste sono delle cose che ha fatte Domeneddio… e vedi come sono belle; e tenevale un pezzo e rallegravasi con esse… e quelle bestiuole venivano a lui, e stavansi con lui, come fanno a noi le dimestiche”: cfr. Aromberg Lavin 1955; M. Bormand, in I Della Robbia… 2009, p. 351, n. 81). A Firenze - dove San Giovanni era venerato come patrono della città e della potente Arte della Lana - alla popolarità di questo tema, allusivo ad una puerizia già consapevole dei propri compiti spirituali, contribuirono ulteriormente le sacre rappresentazioni recitate dai giovanetti affiliati alle numerose “compagnie di dottrina” incentivate dai Medici e dal vescovo Antoniono Pierozzi (Paolozzi Strozzi 2013), come La rappresentazione di San Giovanni nel deserto, scritta sulla metà del secolo da Feo Belcari, che racconta le prime esperienze del Battista fanciullo con toni paragonabili a quelli che caratterizzano la nostra terracotta. Inoltre, l’infanzia esemplare del San Giovannino, era già da tempo tra i soggetti consigliati per le immagini di devozione domestica nella diffusa Regola del governo di cura familiare del domenicano Giovanni Dominici, convenienti all’educazione religiosa e morale dei fanciulli in quanto tali da stimolarne l’emulazione (“La prima” regola “si è d’avere dipinture in casa di santi fanciulli”, e “così dico di scolture”, “nelle quali il tuo figliuolo, ancor nelle fasce, si diletti come simile e dal simile rapito, con atti e segni grati alla infanzia… Si specchi nel Battista Santo vestito di pelle di cammello, fanciullino che entra nel deserto”: cfr. Gentilini 1980, pp. 87-88), Verso la fine del secolo una tale edificante agiografia, risultando in consonanza con la predicazione del Savonarola quale esempio di fermezza spirituale e di rinuncia alle vanità della vita mondana, offrì vivaci spunti per realizzare numerose statuette fittili destinate al culto privato, con esiti affini ad altre diffuse immagini di vita eremitica: una produzione nella quale si distinsero, accanto a uno specialista denominato dalla critica Maestro del San Giovannino (identificato con Jacopo Sansovino o Benedetto da Rovezzano), vari scultori legati all’ambiente domenicano di San Marco, come Baccio da Montelupo e i Della Robbia, e tra di essi soprattutto Giovanni, primogenito di Andrea, il più i

milano, Italia